Alessandro Benvenuti: “Oggi in politica la cultura non serve, è spaventoso” | Giornale dello Spettacolo
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Alessandro Benvenuti: “Oggi in politica la cultura non serve, è spaventoso”

L’attore, regista e autore è in scena al Tor Bella Monaca di Roma: “Dirigere questo teatro è una delle cose più sensate della mia vita. È uno spazio difeso dagli abitanti”

Alessandro Benvenuti: “Oggi in politica la cultura non serve, è spaventoso”
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22 Ottobre 2020 - 17.22


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di Alessia de Antoniis

Alessandro Benvenuti è Emo ne I delitti del Bar Lume e in teatro fino al 1° novembre al Tor Bella Monaca di Roma con Chi è di scena, uno spettacolo senza senso, dove non si capisce nulla, che non sai di cosa parla; dove Benvenuti dirige un attore che a tratti recita male (il brillante Paolo Cioni) e un’attrice che non recita affatto fino alla fine
(la bravissima Maria Vittoria Argenti); dove ogni volta che dici “Ho capito!” capisci che non hai capito nulla. Un esperimento drammaturgico dove il teatro finge di essere teatro, che… Insomma, uno spettacolo alla Benvenuti. Cioè? Come Chi è di scena. O forse “Se” è di scena. Uno spettacolo che non parla di violenza sulle donne, di stalking, di giornalismo, di critica teatrale, di teatro. O forse sì… Uno spettacolo che ti lascia col fiato sospeso fino alla fine: una favola che diventa un thriller che diventa una favola. Una storia d’amore. Un amore tra esseri umani. Uno spettacolo di, con e alla Alessandro Benvenuti. Che affronta con noi l’attuale situazione della cultura italiana. Una situazione senza senso, come il suo spettacolo.

Ha scritto di sé, come toscano: “distratto, disincantato, parzialmente pentito, a tratti molto partecipe, direi trasversale. A volte non me ne importa nulla”. Alessandro Benvenuti è davvero così?
È davvero così (ride). L’amore passionale è pericoloso, soprattutto per la propria terra. Bisogna amarla in maniera critica. Cerco di vedere le criticità che ci sono nell’appartenere alla terra toscana, che storicamente ha dato tanto: geni, cultura, capolavori, pensatori, filosofi illuminati anzitempo, però è anche una regione rumorosa, che ha un’altissima opinione di sé. Noi toscani siamo molto ironici ma poco auto ironici. Amo la Toscana, ho scritto cose che parlano della mia terra, ma senza lasciarmi andare alla frenesia della passione.

Lo spettacolo “Chi è di scena” si chiude con una frase: “Richiamarmi alla vita con l’unica medicina che poteva fare il miracolo: il teatro”. Quindi il teatro è una medicina?
Il teatro è un luogo di confronto. Fare uno spettacolo teatrale non è fare un atto di narcisismo o dare cibo ai propri bisogni di apparire. Fare teatro ti scava dentro. Può essere davvero una medicina. Il teatro dà, a chi lo fa e al pubblico, delle ragioni in più per pensare, altrimenti è un’occasione persa. Il teatro può essere una medicina perché è un luogo di dibattito. Mai come adesso la cultura ha bisogno di questo. Purtroppo la gente ha paura di andare a teatro nonostante sia uno dei luoghi più sicuri d’Italia per i protocolli ai quali deve sottostare.

Lei è direttore artistico del Tor Bella Monaca. Un quartiere che magari fa notizia per fatti di cronaca. Com’è l’esperienza di un progetto che porta spettacoli di qualità dai teatri centrali, come l’Argentina o l’Eliseo, in una zona difficile e a prezzi popolari?
È una delle cose più sensate che abbia fatto in vita mia. Dal ’74 ho tante direzioni artistiche, ad esempio a Siena. Il TBM è un esperimento sociale e culturale appagante, perché grazie a Filippo D’Alessio, il direttore che sta sul territorio, abbiamo instillato nel pubblico che ci frequenta, una passione che è diventata militanza. Lo spazio è difeso soprattutto dagli abitanti di Tor Bella Monaca. È diventato un punto di riferimento per tante compagnie che non vengono al TBM per guadagnare. Vengono perché pensano sia doveroso partecipare al cartellone di un teatro sensato, un teatro che ha un’identità fortissima. Non offriamo grandi cachet perché non possiamo far pagare biglietti costosi: facciamo prezzi popolari.
Aver avuto, poi, finanziamenti triennali invece dei soliti annuali, ci ha consentito di creare una compagnia stabile e di mettere in scena spettacoli che nascono qui al TBM. Questo vuol dire creare progetti di valore invece di sopravvivere stagione dopo stagione.

In scena recita una frase: “In politica non serve cultura, basta fare copia e incolla”. Ai tempi di Nenni, Togliatti o Moro, Berlinguer e altri, non credo l’avrebbe detta. Ma quelle generazioni di politici ci hanno traghettato negli anni del dopoguerra, del terrorismo, della crisi economica. Questi stanno affrontando una pandemia e una crisi economica da dopoguerra. #Andràtuttobene col copia e incolla o urge tornare ad una classe politica che abbia almeno istruzione?
No, non l’avrei mai detta (Ride). È una deriva difficile da capire. Sono ottimista, ma spaventato. È una variazione antropologica. Oggi in Parlamento siedono persone francamente imbarazzanti, ma è rappresentativo dell’Italia, che vota delle persone improbabili. Oggi non è rilevante il bagaglio culturale, il sapere politico, il sapere storico che hai. Una volta se non eri preparato ti bocciavano. Oggi ti mandano in Parlamento. È questo il dramma di un’Italia che ha cominciato trent’anni fa a deperire e ha fatto parlare tante voci che non avevano nulla a che fare con la democrazia. La confusione è iniziata ad arrivare con le televisioni commerciali che dovevano riempire i palinsesti a discapito della qualità. L’uomo diventa sempre più becero perché ha mezzi che gli consentono di parlare anche se non ha nulla da dire. Vedere che vince chi urla più forte o dice cose più cattive, pensando di avere ragione, è una deriva culturale terribile. Una persona normale oggi è quasi straordinaria. Uno che si comporta bene è quasi una rottura di scatole. Sono davvero preoccupato. Ci sono persone che comandano nazioni importantissime e che pensano che la foresta in Amazzonia possa essere distrutta tranquillamente per far legname e soldi, non capendo che è il polmone del mondo; o negano che si stanno sciogliendo ghiacciai grandi come nazioni: sono assassini del pianeta eppure la gente li vota. Se questo non è impazzimento…
Mi fa paura un mondo di persone che diventano pazze. I pazzi prima erano quelli che parlavano a voce alta per le strade. Poi sono comparsi i cellulari e tutti parlano a voce alta per le strade, sui mezzi pubblici, sui treni, degli affari propri. L’impazzimento dell’uomo è quando non riesci più a distinguere il pubblico dal privato.
È una deriva generale che può essere arginata solo a colpi di cultura. C’è urgenza di un ritorno a una logica di civiltà, di capacità di dialogo. Urge vedere non il nemico nell’altro, ma l’avversario. Servirebbe un po’ di educazione civica che riporti il mondo nei limiti della cultura. Quando i campioni dell’apparire fanno furore in televisione è ovvio che uno sia portato a curare più i suoi bicipiti che i suoi neuroni.

Il covid ha messo in evidenza la criticità del comparto spettacolo. Al di là di quello che ha detto Piero Sansonetti su Rete 4 a “Stasera Italia” (“Se chiudiamo tutti i teatri d’Italia non succede niente, non hanno certo questo business…”), il comparto spettacolo quota circa 10 mld di fatturato (fonte ATIP – nda). Questa esperienza sta insegnando qualcosa o, chi sopravviverà, tornerà al vecchio sistema, con lavoratori in nero e assenza di tutele?
È una cosa della quale si dovrebbe occupare il Governo. Ho amici in Francia, Olanda e Germania che sono completamente coperti dal Governo. Non è una cosa che possiamo risolvere noi come categoria. O il Governo capisce che la cultura è importante in un Paese come l’Italia, oppure no. Non ho le parole per definire la pochezza delle persone come Sansonetti. Uno che fa il giornalista e dice quello che ha detto, non so dove collocarlo. Mi cadono le braccia. Noi sicuramente siamo in una trappola, perché c’è un individualismo sfrenato della nostra categoria. Ma è il Governo che deve decidere cosa è importante e le risorse da mettere in campo: se decide che siamo importanti perché siamo un settore strategico, allora ci prende in considerazione e stabilisce cosa serve per proteggere la nostra categoria. Se invece pensa, come quel Sansonetti, che noi si sia sacrificabili perché tanto non si conta nulla, allora venga la legge della giungla. Se siamo un settore strategico dovete proteggerci. E lo siamo, perché senza la cultura c’è la barbarie.

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