Gianfelice Imparato: "La comicità è alla deriva, serve competenza" | Giornale dello Spettacolo
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Gianfelice Imparato: "La comicità è alla deriva, serve competenza"

Il regista e attore guida i giovani interpreti de "iNuovi" in quattro atti di Eduardo De Filippo a Firenze e Napoli: "In film e tv si contrabbandano sketch e barzellettine. E la scuola ignora Eduardo"

Gianfelice Imparato: "La comicità è alla deriva, serve competenza"
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1 Ottobre 2018 - 15.03


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Stefano Miliani

“La comicità autentica, che nasce da una drammaturgia, dal cinismo, da spunti tragici, da autori geniali come Eduardo De Filippo, in tv e al cinema è andata alla deriva e i giovani non la conoscono”. Gianfelice Imparato, regista e attore, constata una condizione nientʼaffatto vitale e brillante per la difficile arte del far ridere e pensare nel nostro Paese. Lo dice nellʼintervista che segue per presentare quattro atti brevi di Eduardo, “Pericolosamente”, “I morti non fanno paura”, “Amicizia”, “Uomo e galantuomo” di cui firma la regia e che vanno in prima nazionale al Teatro Niccolini di Firenze da martedì 2 al 7 ottobre e dallʼ11 al 14 ottobre al Teatro Nuovo di Napoli. Gli interpreti “iNuovi”, giovani diplomati della scuola per attori “Orazio Costa” della Fondazione Teatro della Toscana in uno spettacolo prodotto da Fondazione Teatro della Toscana ed Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo. Lʼallestimento si inserisce nel programma in corso che vede affidare la sala fiorentina a giovani votati al teatro. Per dar loro nome, gli attori sono Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Luca Pedron, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe. Imparato come regista ha collaborato al cinema con Marco Bellocchio, Ettore Scola, Mario Monicelli, Nanni Loy e Nanni Moretti, come attore era Don Ciro nel film “Gomorra” di Matteo Garrone, era in “Fortapàsc” di Marco Risi, nel 2012 dava voce e volto al commissario Libero Sanfilippo nel prequel “Il giovane Montalbano”.

Nelle note di regia lei parla di una comicità vista in tv e al cinema ridotta a sub-genere, “degradata” con un “misero repertorio condito da smorfie ridicole, voci assurde, costumi improbabili, urla”. Cosa è successo?

È andata alla deriva. In teatro la comicità nasce da una drammaturgia e se nʼè persa la cognizione. I giovani non la conoscono, complice una cattiva tv contrabbandata per comicità delle macchiette, piena di sketch dove si che esce con la faccia che vuol far ridere. Invece la comicità ha una sua grammatica. Mi riferisco alla comicità di sketch e barzellettine. E si vedono film che sono solo sketch e barzellette tenute insieme da un fil rouge pretestuoso, non commedie quali erano quelle di Scola o Monicelli. Il suo “I soliti ignoti” partiva dalla fame di una banda di disperati. Non voglio fare il nostalgico ma abbiamo avuto una involuzione in tutti i campi dello scibile: quando ero ragazzo in tv Ungaretti leggeva lʼOdissea e capivo il senso parola per parola, avevamo interviste a Pasolini, Sciascia, Moravia. Il danno principale è dare lʼidea che tutti potessero far tutto senza aver studiato o coltivato o imparato un mestiere: tutti quanti possono essere ricchi e famosi con una trasmissione tv. Anche lʼattore è come un fabbro o un falegname, deve imparare, è un mestiere. Ma la competenza sembra un optional: si pensa di non aver bisogno di imparare, è una involuzione gravissima e la mancanza di competenze ha permesso la svalutazione e distruzione del mondo del lavoro.

A chi si riferisce? Ci può fare esempio?
Senza fare nomi è penso alla comicità in trasmissioni tipo “Zelig” o “Made in sud”: è la lontana comicità che nasce dal cinismo, anche da spunti tragici o da un autore geniale quale era Eduardo che traeva il risvolto comico da quelle situazioni. Per un attore lʼimpegno per affrontare un testo comico e uno tragico è uguale.

Non è più difficile affrontare un testo comico?

No, non è più difficile. Ognuno ha una sua musicalità e si devono imparare. Intendo dire che per un testo comico serve la stessa serietà e profondità di un testo tragico. I ragazzi qui sono felici di scoprire meccanismi che immaginavo non conoscessero e infatti non li conoscevano. Da qui nasce la mia proposta di un teatro nato dalla drammaturgia.

Perché Eduardo?

Perché lo conosco bene, perché è esemplare, perché aveva un rapporto di lunga data con il Teatro della Pergola (è a pochissima distanza dal Niccolini ed è nel Teatro della Toscana, ndr), perché era bello ripartire da lui.

Lʼetà degli attori?
Hanno tra i 22 ai 26-27 anni

Conoscevano De Filippo?
Per sommi capi. Ma non conoscevano la grammatica del teatro comico, la musicalità, la tempistica. Invece i tempi comici si devono studiare, non si può fare teatro comico senza aver studiato.

Vede una mentalità diffusa per cui ritiene non sia necessario studiare?

Esiste il talento naturale, ma bisogna distinguere tra il comico e il ridicolo. Una cosa può attirarmi un sorriso ma la drammaturgia comica è unʼaltra faccenda.

Qual è la natura dei quattro atti unici scelti?

In “Uomo e galantuomo” una compagnia di guitti è allo stremo e deve mettere insieme pranzo e cena. Nei “Morti non fanno paura” si parte dalla veglia a un defunto, in “Pericolosamente” da un marito che spara alla moglie. E in “Amicizia” tutto nasce dalla visita di un amico allʼamico di infanzia moribondo. Hanno tutti spunti drammatici, la comicità spesso nasce dal cinismo, dal bisogno, dalla fame.

Gli interpreti recitano in italiano o napoletano?

In italiano per far comprendere loro che non è il dialetto a suscitare la comicità ma il meccanismo drammaturgico valido in qualunque lingua. Se scimmiotto il pugliese posso essere ridicolo ma non è il dialetto della comicità. Poi intendo rimarcare, se ne ce ne fosse bisogno, che Eduardo non è relegabile a una regione. Mi rammarica che nei programmi scolastici si studino autori come Pirandello e Alfieri e non mi pare ci sia ancora Eduardo.

Il sito del Teatro della Toscana

 

 

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