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“Isabelle Huppert e i giovani, il teatro è sempre politico”

Il direttore del Teatro della Toscana Marco Giorgetti parla di Bonisoli, di giovani drammaturghi privi del rapporto la scena, di un accordo con Parigi, dei privati

“Isabelle Huppert e i giovani, il teatro è sempre politico”
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7 Luglio 2018 - 11.54


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Avrà uno spettacolo co-prodotto con Bob Wilson alla regia e Isabelle Huppert protagonista, la Fondazione del Teatro della Toscana nella stagione 2018-19. Al di là delle star, con 26 produzioni e 13 prime nazionali l’istituzione riunisce sotto un unico tetto Teatro della Pergola, il Teatro Niccolini (affidato a un gruppo di giovani detti “I Nuovi”) a Firenze, il Teatro Studio “Mila Pieralli” a Scandicci, il Teatro Era di Pontedera. Tra le nuove produzioni quali quella con il regista Roberto Bacci nel testo di Michele Santeramo “Svegliami” e Gabriele Lavia nei “Giganti della montagna” di Pirandello, ne parla il direttore della Fondazione Marco Giorgetti. Che, riferendosi al nuovo ministro dei beni e attività culturali Alberto Bonisoli, vedrebbe bene un rapporto più stretto tra pubblico e privato nel teatro italiano.

Al Niccolini è in corso l’esperimento di affidare ogni aspetto dell’intera macchina teatrale a un gruppo di giovani neodiplomati. Come procede?

È la prima volta in Italia e tra le pochissime in Europa. Procede molto bene perché dopo l’avvio e la consegna delle chiavi i ragazzi hanno assunto una loro autonomia e una loro programmazione. Con la nostra supervisione prendono coscienza e praticano tutti i mestieri. Registriamo una grande ricettività che emergerà ancora di più quando potremo lanciare la seconda parte della stagione ‘18-19 e l’iniziativa sarà ancora più consolidata. Il teatro si propone più come una frequentazione giornaliera, per esempio ci saranno giornate sulla poesia e con prove aperte, ed è un modo diverso di porsi alla città, un modo diverso inventato dai ragazzi.

Quanti sono?

Adesso sono 25, allievi nostri e provenienti da altre scuole tramite una selezione.

Qual è la condizione del teatro oggi?

È una situazione di grande cambiamento nel settore a tre anni dalla riforma, con un codice dello spettacolo che sarà ulteriormente precisato con documenti applicativi, con il nuovo ministro dei beni culturali Alberto Bonisoli che probabilmente interverrà su questi codici, con finanziamenti non pienamente reitengrati rispetto al Fondo unico dello spettacolo: al settore mancano 9 milioni di euro circa.

La vostra situazione qual è?

Noi siamo fortunati per la nostra solidità societaria. Abbiamo soci molto convinti che hanno confermato gli investimenti per il triennio fino al 2020. La nostra Fondazione ha circa sette milioni di euro in contributi pubblici sicuri, circa 3,5 milioni di ricavi propri e con questo cerca rapportarsi con realtà teatrali vive quale sono Firenze e la Toscana. Siamo un riferimento ma il settore vive costantemente nell’incertezza a causa dei cambiamenti di questi anni.

Del nuovo ministro cosa dice? Forse ci sono sfuggiti, ma non abbiamo visto suoi interventi pubblici sul teatro. Cosa ne pensa?

Non ho visto sue dichiarazioni pubbliche, vedremo come agirà. Il settore ha bisogno di un’azione decisa, di orientamenti. Reputo l’attuale legge sul teatro un ottimo punto di partenza con aggiustamenti previsti dal codice dello spettacolo: certo, tutto è perfettibile. Sul nuovo ministro sono molto fiducioso perché si è sempre confrontato sul rapporto tra pubblico e privato, ed è il lavoro che facciamo da anni: può essere interessante contemperare il pubblico e il privato nel teatro italiano. Vedremo come potrà tradurlo praticamente in decreti.

Come nasce la collaborazione dello spettacolo “Mary Said What She Said” di Bob Wilson con Isabelle Huppert che inaugura la stagione?

Abbiamo fatto un accordo pluriennale ed esclusivo in Italia di partnerariato con il Théâtre de la Ville di Parigi: condividiamo un progetto sui giovani, anche con l’idea di cantieri dell’arte come li pratica il de la Ville. È un partnerariato a tutto campo, non solo come produzione ma anche come attività insieme.

Come giudica gli autori odierni? I drammaturghi?

Vedo una situazione di vivacità pazzesca, di talenti giovanissimi e anche meno giovani. Quello che manca, e che stiamo tentando di fare, è il confronto dell’autore con la realizzazione scenica. Un autore teatrale deve misurarsi con la scena, anche correggendosi, ma gli autori non hanno modo di misurarsi con questa pratica che potrebbe aiutarli a trovare soluzioni o strade diverse. A noi arrivano tanti testi troppo letterari, magari pieni di idee ma non efficaci perché manca l’aspetto drammaturgico. Serve un’azione costanze di aiuto anche per individuare talenti.

Come valuta la distinzione fra teatri nazionali e i “tric”, i “teatri di rilevante interesse culturale” adottata nel 2015 dal ministero?

Credo abbia una base di grande efficacia: ogni teatro è suddiviso per fasce, ha competenze, i centri di produzione devono svolgere quelle date attività , i tric altre. Ci sono motivi alla base di questa identità. Poi naturalmente bisogna tradurre in realtà e non sempre come teatri riusciamo a svolgere perfettamente il compito , si rincorrono le scadenze …

C’è chi ha contestato questo schema.

Trovo assurdo contestare lo schema, è la base con la riforma del settore ed è la legge che deve fare la suddivisione per compiti. Forse i teatri nazionali dovevano essere uno o due e sono tanti? Sono le valutazioni tipiche del ministro, lui deve dire cosa è più efficace e su questo bisogna lavorare.

Il teatro ha una portata politica?

Il teatro è sempre politico perché è luogo di riconoscimento della polis. Quando facciamo è politico nel senso che cerca di cambiare e muoversi in una città, in una società per una società civile, è l’unica possibilità. Il teatro non è mai intrattenimento: anche quando fa ridere, ci fa scoprire una parte di noi, è luogo del dibattito, del dubbio, della domanda. È fondamentale, si esce dal teatro con un arricchimento di domande e questo è essere politici.

Qualche autore o attore, qualche spettacolo che vorrebbe avere?

La nostra stagione porta un po’ tutto quello che avremmo voluto dare al nostro pubblico. Trovo tra gli autori più interessanti Alessandro serra, che sarà a Pontedera: è un regista-autore rappresentativo dei cambiamenti. Oppure penso a Giancarlo Sepe o altri: la nostra stagione porta queste diversità e copre tutte le esigenze di incontro con il nuovo.

 

 

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