Chiara D’Ambros
Maddalena Crippa, interprete di Richard II è stata accusata di aver spostato bruscamente le interpreti dello spettacolo nella lingua dei segni (LIS) per 40 spettatori non udenti presenti in scena durante la replica di domenica 17 dicembre. Il Teatro di Roma sostiene, anche mostrando documenti scritti, di aver informato per tempo la produzione del Teatro Metastasio della presenza degli interpreti LIS. Iniziativa lodevole voler rendere lo spettacolo fruibile anche a persone con disabilità ma la protagonista afferma che la compagnia non ha mai ricevuto tale comunicazione e di essersi trovata a dover gestire in scena queste presenze senza aver potuto fare nemmeno una prova per trovare assieme la sistemazione migliore. Le accuse reciproche hanno raggiunto toni aspri. Il Teatro afferma che la Crippa mente dicendo di non sapere. Certo risulta strano che un’interprete così scrupolosa abbia sottovalutato un elemento di questo tipo rischiando di trovarsi in difficolta in scena. Un problema di comunicazione tra la produzione e la compagnia?
L’incidente accaduto al Teatro Nazionale di Roma, guardato da una prospettiva più ampia, accende una spia sulla situazione del teatro italiano in questo momento. Produzioni sempre più veloci, passaggi fulminei da un teatro all’altro con il rischio che le comunicazioni non avvengano in modo appropriato e il lavoro artistico venga stritolato tra la macchina burocratica e quella spettacolare, tra la fretta e la poca cura di cui fanno le spese sia gli artisti che gli spettatori.
Il teatro è fatto da e di esseri umani che ogni sera si mettono in gioco senza mediazioni di schermi, espedienti tecnologici, differite. In questo sta la sua magia, forse il suo senso, nel creare uno spazio – tempo in cui incontrano, si guardano e ascoltano esseri umani compresenti. Ci sono poi vari tipi di performance, alcune sono più malleabili, alcune più fragili e necessitano una protezione, una cura maggiore nel “maneggiarle”, un po’ come in pittura: un murales, un monumento possono resistere alle intemperie meteorologiche, vivono nel e del paesaggio urbano e umano variabile in cui sono immersi, mentre un Caravaggio ha bisogno di una stanza coperta, possibilmente con una temperatura costante, di non essere toccato se non da mani esperte. Del termine “cura” in questo presente veloce forse è difficile conservarne il valore e la pratica.
Avevamo sentito Maddalena Crippa raccontarci dell’umanità di Re Richard II pochi giorni fa. Abbiamo avuto modo di incontrarla di nuovo per qualche battuta su questa vicenda. Lontana dal voler discriminare alcun spettatore, difende il suo lavoro e esprime tutta la difficoltà di lavorare nel contesto teatrale italiano oggi. Ecco l’Intervista.
Questo suo gesto di spostare le persone sulla scena ha causato reazioni forti, Re Riccardo da umano è diventato disumano?
Assolutamente no. Le reazioni sono terribili. Chi sta in teatro dovrebbe conoscere le necessità del teatro. Cosa grave, secondo me, è che queste istituzioni da cui gli artisti sono stato completamente estromessi, spesso sono formate solo da burocrati che si sono così allontanati dal lavoro artistico del palcoscenico da non capire più le necessità che ha il lavoro artistico. E’ grave che questa gente che gestisce istituzioni abbia perso di vista completamente la soluzione migliore e per esempio non abbia scelto i sovratitoli invece che il metodo Lis per uno spettacolo come Riccardo II.
Io mi sono trovata questa cosa avendo la responsabilità di tenere la concentrazione e di portare avanti lo spettacolo per tutto il pubblico, perché non era una replica riservata solo a questi quaranta spettatori non udenti. E se nessuno difende il mio lavoro artistico lo difendo da sola. Ma ripeto io non ho strattonato nessuno. Ho semplicemente spostato queste quattro ragazze che erano troppo in proscenio e le ho messe due metri indietro e poi all’intervallo avevo già predisposto che riposizionassero le luci. Anche lì se avessimo fatto una prova prima lo spazio sarebbe stato organizzato. Il mio primo rispetto per tutto il pubblico è nella qualità del mio lavoro e questo lo difendo fino alla morte. Lo è sia per uni che per gli altri spettatori. Provi ad immaginare uno spettacolo in cui ci sono 4 traduttori pienamente in luce che fanno tutta la traduzione per tutto lo spettacolo. Questa è anche una mancanza di rispetto per tutto il resto del pubblico che sono 700 persone. E poi, iniziative come queste si devono concordare con le compagnie. Così avviene normalmente. Tu mi informi e devi avere il mio consenso. Noi siamo stati avvisati il giorno stesso, io non mi sono opposta alla cosa ma mi avevano dato la garanzia che sarebbero state una presenza discreta, che si poteva armonizzare con lo spettacolo. Io non posso entrare in scena e trovarmi queste persone illuminate che fanno i gesti che dovevano fare. Io mi deconcentro, non riesco più a fare il mio lavoro per il pubblico tutto. Il teatro non è una cosa come un videogioco.
Io non ho impedito a loro di proseguire, le ho semplicemente spostate di due metri ed è stata un’azione pragmatica che è durata pochi istanti.
Questo permetteva a lei e al resto della compagnia di proseguire lo spettacolo?
Certo solo che loro non erano più in luce piena ma poi per il secondo atto avremmo spostato qualche luce. Anche perché rappresentavano una distrazione enorme per chi guarda. Ci sono spettacoli che reggono questo intervento ma Riccardo II no.
Questa vicende mette in luce un problema di comunicazione. Diceva di notare una difficoltà maggiore in questo senso, oggi. Cos’è successo nel teatro in Italia negli ultimi anni?
E’ successo prima di tutto che quando ho iniziato io, nei teatri, a gestire i teatri c’erano gli artisti, oggi non ci sono più. Queste leggi, questi decreti hanno obbligato i teatri a fare una quantità inaudita di spettacoli. Se io le dico che sto 5 giorni a Roma … ma le pare che uno spettacolo come Riccardo II sta 5 giorni a Roma? Allora la verità è che tutto questo spezzettamento, questa produzione abnorme di “via uno – sotto l’altro” a noi attori ci ha ridotto alla fame, nel senso del lavoro che non c’è più, e si lavora male. È tutto frantumato, tutto intercambiabile, e loro come istituzioni sono oberate. Figurati, ora hai 100 spettacoli da seguire mentre una volta ne avevi al massimo 30. Quindi quei 30 li puoi seguire, curare. Torno ad usare questa parola. Ma il teatro ha bisogno di questo: di cura. Non ha bisogno del supermercato. Basta con questo consumismo, con questa gestione in le produzioni vengono soffocate dai tagli, in cui come artisti siamo sempre più ricattabili.
Io ho messo l’anima e la cura massima in questa Riccardo II e quindi lo difendo. Anche perché io non ho detto no dall’inizio, la mia non è una prevaricazione. Ma nel momento in cui entro in scena e mi accorgo di essere distratta, di perdere concentrazione, perché la loro presenza non è discreta come mi era stato detto, io non posso permettermi di accettarlo, per rispetto di tutto il pubblico. Sono loro che se ne sono andate io ho solo fatto un’azione e sussurrato: “ragazze più indietro”.
Non c’è stato nessuno strattonamento, nessun allontanamento da parte mia. Ma fa più notizia se si usano certi toni. E trovo che ci sia stata una manipolazione assoluta e ingiusta. Io il rispetto per le cose e le persone ce l’ho. La mia dedizione al lavoro è totale. E sono pronta a difenderlo coi denti.
Forse nel contesto attuale non si comprende la dimensione teatrale, di un certo tipo di teatro.
Si. Perché quando io dico che mi serve una concentrazione totale, mi sberleffano, ridono. Ma io non me la prendo con chi non conosce il mestiere ma con chi gestisce il teatro, che poi è anche chi ha causato questo incidente, questo è molto scorretto e triste.
Lei ha modo di fare anche teatro all’estero. Trova delle differenze nella gestione dei rapporti tra i teatri e gli artisti?
Ma ovviamente non c’è neanche da paragonare, perché all’estero c’è più rispetto, c’è un altro approccio. Gli artisti sono riconosciuti. Noi artisti in Italia siamo, in fondo, la ragione per cui chi amministra i teatri, stanno lì, ed è sicuro del suo ruolo, dello stipendio. Loro sono inamovibili. Dovrebbero essere lì per noi, invece è esattamente il contrario. E noi ci siamo sempre di meno. Questa parcellizzazione, questa frantumazione – ripeto – è un disastro perché hai la massimo due mesi di lavoro, di prove, tre quando va bene. All’inizio c’erano 8 mesi di tournee. Oggi è tutto un frullatore.
Cos’è successo oggi per cui si è imposta questa la situazione?
La politica si è impossessata dei teatri con la riforma Franceschini. I consigli di amministrazione la fanno da padrone e non ci sono più gli artisti. È rimasto giusto De Capitani all’Elfo, e basta. La situazione è molto molto grave.
Io sono convinta che se si avesse avuto a cuore la dimensione artistica, non sarebbe stato possibili un episodio come questo. Non c’è la cura. Questo termine ritorna. Prendersi cura significa pensare alla soluzione migliore. Ma anche nel rispetto degli spettatori non udenti perché essere messi tutti a lato del palcoscenico con 4 persone che si alternano a tradurre uno spettacolo che avviene dietro ai traduttori, che spettacolo vedono? E in più si distrae tutto il resto del pubblico. Oltre tutto senza che ci fosse un solo annuncio. Troppo spesso sembra non esservi più tutela, né consapevolezza del lavoro.