Gifuni: "I giovani autori teatrali faticano a farsi ascoltare" | Giornale dello Spettacolo
Top

Gifuni: "I giovani autori teatrali faticano a farsi ascoltare"

L'attore pluripremiato, impegnato in teatro, cinema e tv, in un'intervista fa il punto della situazione del teatro italiano.

Gifuni: "I giovani autori teatrali faticano a farsi ascoltare"
Preroll

GdS Modifica articolo

1 Giugno 2016 - 15.59


ATF

Il teatro italiano gode in questo momento di una “straordinaria vitalità”, con un “incremento delle vendite di biglietti, stagioni interessanti e di qualità soprattutto nelle grandi città”, e con la “vivacità dei giovani drammaturghi” che purtroppo contrasta “con la lentezza delle istituzioni”. Ne è convinto Fabrizio Gifuni, attore pluripremiato (l’ultima è la candidatura all’Ubu come ‘miglior attore’ per ‘Lehman Trilogy’), impegnato in teatro, cinema e tv, che in un’intervista fa il quadro della situazione del teatro italiano.

“Il palcoscenico – afferma Gifuni – è il luogo dove mi sento forse più a casa, anche perché negli ultimi quindici anni, al lavoro di attore si è affiancato quello di autore: molto spesso sono stato ideatore e interprete dei miei spettacoli e a volte anche coproduttore. L’invenzione di una drammaturgia che dà vita a un nuovo testo teatrale è qualcosa che mi affascina e mi stimola sempre di più”.

Secondo l’attore, che l’8 giugno concluderà i suoi impegni della stagione teatrale con ‘Lo Straniero’ di Albert Camus al Teatro Romano di Verona, “in questo momento, paradossalmente rispetto ai tempi, il teatro ha una straordinaria vitalità, una potenzialità molto forte. In un’epoca in cui dalla riproducibilità delle immagini si è passati al virtuale, il teatro, anziché perdere terreno, lo sta conquistando perché la presenza dei corpi vivi all’interno di uno spazio, cui ci stiamo disabituando, produce invece qualcosa di estremamente vivo, che piace e fa aumentare le vendite di biglietti”.

“Gli spettatori, anche quando non sono pienamente consapevoli di quell’alchimia tra corpi vivi che si crea in teatro – aggiunge Gifuni – che è poi la magia dello spettacolo dal vivo, cercano uno spettacolo teatrale perché sentono che in quel luogo succede qualcosa di diverso da quello che succede fuori. E’ come se le sale fossero delle piccole oasi protette all’interno della città, dei veri polmoni pulsanti che riescono a stabilire un rapporto con la comunità, con la cittadinanza che in quei luoghi si ritrova. Certo – osserva l’attore – dipende da quello che si mette in scena, perché se fatto male il teatro può essere anche molto noioso”.

Dipende quindi dalla programmazione e dalla qualità che garantiscono le istituzioni teatrali, che “è ovviamente molto diversa nelle grandi città rispetto alle province, ma questo non è un fenomeno solo italiano”, spiega Gifuni, che sottolinea come nelle grandi città ci sia “un’offerta maggiore. Milano, ad esempio, che è particolarmente viva, ha tre polmoni pulsanti che sono il Piccolo, il Franco Parenti e il Teatro dell’Elfo, con molte sale e un pubblico che ha instaurato con questi teatri un rapporto di fiducia sapendo che l’offerta è molto spesso a un certo livello”.

La qualità in provincia, secondo l’attore, è invece spesso legata ai “festival, dove con una certa frequenza si vedono cose molto interessanti, con una vitalità che fatica ad arrivare nei teatri delle grandi città”. E proprio questo per Gifuni è il punto dolente della programmazione teatrale italiana: “La nuova drammaturgia ha sempre faticato moltissimo in Italia, relegata in piccole rassegne o in festival estivi ma senza mai riuscire a entrare robustamente nelle programmazioni invernali”.

“Negli ultimi anni qualcosa sembra muoversi – afferma – al di là del caso di Stefano Massini, autore di ‘Lehman Trilogy’ (ultimo spettacolo diretto da Luca Ronconi e per il quale Gifuni ha ottenuto una candidatura agli Ubu come miglior attore, ndr.), che è un caso a parte. I diritti del testo infatti sono stati acquistati da Sam Mendes e il prossimo anno lo spettacolo andrà in scena a Londra. Ma li hanno comprati anche in Germania e Spagna. Erano anni che un drammaturgo italiano non entrava nei teatri europei con questa forza”, ribadisce Gifuni.

Quanto ai nuovi autori, “sono stato per qualche anno nella giuria del Premio Riccione – afferma l’attore – il più importante per la drammaturgia italiana, e arrivavano diversi testi molto interessanti, alcuni premiati e alcuni segnalati. La grande difficoltà era poi vedere quei testi rappresentati per un numero sufficiente di repliche e non solo per tre giorni o per una settimana”.

“Quest’anno – ricorda Gifuni – c’è stato un piccolo exploit della compagnia di Gabriele Di Luca con ‘Thanks for vaselina’ che è stato per tanto tempo qui a Roma al Piccolo Eliseo. Ci vorrebbero però degli spazi, dei teatri come ci sono in altre capitali europee, che dedichino la maggior parte del loro tempo ai nuovi autori. S’era detto di destinare il Teatro Valle di Roma alla drammaturgia contemporanea ma poi non si è fatto più nulla. Diciamo che la vivacità degli autori c’è, ma quella delle istituzioni no”.

Quanto al cinema – che lo ha visto impegnato sia in ‘Fai bei sogni’, l’ultimo film di Marco Bellocchio accolto con successo a Cannes, sia in ‘Dove non ho mai abitato’, di Paolo Franchi, appena finito di girare – Gifuni dice di essere intenzionato a “restare interprete puro. Non ho intenzione di passare dietro alla macchina da presa come invece hanno fatto altri miei colleghi. Per me, rispetto al teatro, è un lavoro molto più focalizzato sull’incontro con il personaggio che sono chiamato a interpretare”.

Gifuni, che ha lavorato con registi italiani del calibro di Liliana Cavani, Marco Bellocchio, Marco Tullio Giordana, Gianni Amelio, è stato anche tra gli attori di ‘Hannibal’ di Ridley Scott: “Ricordo quel set come un grandissimo parco giochi in cui tutto era enormemente più grande e complesso, con un tendone da catering sempre aperto e una disponibilità di mezzi incommensurabilmente superiore a quella di un medio set italiano”.

“Ma questo non significa granché – sottolinea – perché noi siamo riusciti, con budget più ridotti, a fare film che sono rimasti nella storia del cinema. Certo, il cinema è una macchina industriale che ha bisogno di più soldi rispetto al teatro, dove il denaro serve soprattutto per le grandi produzioni, per il teatro di regia. Ma un teatro che funzioni si può fare, come l’ho fatto io tante volte in questi anni, anche con una sedia su un palcoscenico vuoto perché, se c’è un bel testo e un lavoro serio dietro, lo spettacolo funziona benissimo”, conclude.

Native

Articoli correlati