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Cartongesso: lettura scenica aspra e vitale

Amaro ritratto che Mirko Artuso e Giuliana Musso fanno emergere prepotentemente, con intensità aspra e vitale: tratto dal romanzo di Francesco Maino.

Cartongesso: lettura scenica aspra e vitale
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25 Gennaio 2016 - 09.35


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Di Chiara D’Ambros

La lettura tratta da Cartongesso, portata in scena da Mirko Artuso e Giuliana Musso, due musicisti della Piccola Bottega Baltazar, Sergio Marchesini e Giorgio Gobbo e una voce, Patrizia Laquidara, ad un anno di distanza dal suo debutto continua a stupire e convincere per la sua forza incisiva. Lo hanno dimostrato gli incessanti applausi, lo scorso sabato al teatro Mattarello di Arzignano, nel cuore del Nord Est, vero protagonista del romanzo da cui è tratta la lettura.

In scena, tutti artisti nati e cresciuti in questo Nord Est, tratteggiato, svelato, sventrato dall’autore senza risparmiare nessun colpo a genti che per anni sono andate avanti a testa bassa, per lavorare la terra, sconfiggere una povertà ruvida, per poi prestare questa stessa determinazione a unico obiettivo avere “schei” e far vedere che si hanno “i schei”.

In sala le luci sono abbassate ma non spente, perché la narrazione parla in fondo di un “noi”. Gli artisti scelgono di non separarsi da chi ascolta, siano veneti o italiani, tutti siamo tra politici con la pancia ripiegata che preme su se stessa, affari che hanno come scopo “grattare la roba degli altri”, modelli di un maschile macio e perso tra fantacacio e ‘goti’ e un femminile sottomesso a leggi di dieta e bellezza omologata. Lui lavora, lei si sposa e fa ‘fioi’, sono proprio loro i protagonisti di questa terra, entrati nella vita gratis, “chi la vita l’ha aggirata”, “si può far loro una colpa di questo?” si chiede l’autore. Per loro il futuro è stato costruito sulla legge del calcestruzzo, del “lavor, far su” tra cattolico senso del dovere e di colpa. I padri dei protagonisti si sono illusi di aver battuto la storia a tre sette ma la realtà è che i figli, oggi, si fanno costruire la casa da operai rumeni, perché non sarebbero in grado nemmeno di piantare un chiodo. Ora è tutto trasformato, il bar, un attollo dove arrivare con il suv a bere spriz, dopo aver chiuso il capannone, solo le bestemmie sono restate, costante identificativa di questo “buso, apprezzato da nessuno, divorato da dentro”.

Attori e cantanti in un vero e proprio concerto di musica e parole, aspre, ma in fondo, anche di amore per quella terra dove affondano le proprie radici, un Nord Est disperato che vorresti lasciare al suo destino ma nel quale in fondo sempre si torna o ci si porta sempre dentro, nella lingua, quel ‘grezzo’ che solo l’autore non sente suo mentre tutti intorno anche quando vanno a vivere lontano, tengono stretto.

Amaro ritratto che Mirko Artuso e Giuliana Musso fanno emergere prepotentemente e con intensità travolgente dalle pagine scritte. La musica e le canzoni, tutte americane, giocano con i ritmi della lettura e danno un sapore ancora più bruciante alla narrazione, affondando il dito nella piaga di un’identità perduta, storpiata da illusioni e benessere. Quasi l’eco di un American Dream che si è infranto tra le strade troppo strette dei nostri paesi, che ha portato una ricchezza deforme, un ricco degrado soprattutto nelle relazioni, insinuando tarli dalle forti mascelle nei quei piccoli frammenti di io che potrebbero diventare “noi” e potenzialmente società… Magari civile.

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