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Il presidente Gherpelli: vi spiego il valore dei teatri di tradizione

Giuseppe Gherpelli, presidente dell'Atit: 'I teatri di tradizione sono un punto chiave della produzione musicale in Italia'. [Davide Monastra]

Il presidente Gherpelli: vi spiego il valore dei teatri di tradizione
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31 Agosto 2015 - 14.50


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di Davide Monastra

Sorta nel 1968, l’Associazione Teatri Italiani di Tradizione (Atit) ha il compito di promuovere, agevolare e coordinare le attività musicali nel territorio, con un’attenzione particolare all’opera lirica, ma guardando anche ad altre discipline come la danza, la prosa, i concerti sinfonici e da musica da camera. I 23 teatri di tradizione associati all’Atit sono istituzioni radicate nelle province di appartenenza, dislocate in 14 regioni e si qualificano a livello nazionale ed internazionale per una produzione lirica che varia dai 90 ai 120 spettacoli, ovvero circa 350 recite all’anno. Questi teatri sviluppano un’attività che supera mediamente un valore economico di 100 milioni di euro a stagione e hanno come riferimento un bacino d’utenza di circa 3 milioni di potenziali spettatori.

Giuseppe Gherpelli, presidente dell’Atit e direttore generale della Fondazione i Teatri di Reggio Emilia, ha spiegato: “I teatri di tradizione oggi sono un punto chiave della produzione musicale italiana. Pur essendo in regioni diverse, collaborano tra di loro con grande intensità per ridurre reciprocamente i costi e garantire a un pubblico potenziale di oltre tre milioni di persone di usufruire nelle propria città di un’offerta di opere di alta qualità”. Come ha ricordato il professor Ezio Ricci – classe 1919, una vita dedicata al Teatro Sociale di Mantova e presente il 27 gennaio 1968 giorno in cui è nata l’associazione-, “l’Atit ha una missione ben precisa: portare la lirica in quelli che sono i centri minori. Ancora oggi, Atit è una rete che dà la possibilità alle città di provincia di avere una propria stagione lirica, attraverso gli allestimenti delle opere realizzate dagli stessi teatri di tradizione”.

Diversi sono i compiti che svolge l’Atit: “L’associazione – ha ricordato il presidente – ha il compito di difendere gli interessi dei teatri di tradizione e di promuoverne la loro azione che è sia culturalmente che socialmente utile. Nel corso degli ultimi anni i teatri di tradizione hanno aperto la propria programmazione ad altri ambiti come la danza, la prosa, la concertista, il musical e tutti, indistintamente, sviluppa
no un’attività educativa e di formazione rivolta alle scuole. Insomma, svolgono un ruolo chiave nella vita sociale delle città in cui operano. Inoltre, punto non secondario, sono enti che garantiscono lavoro nei territori dove sorgono”.

L’Atit ha visto la luce grazie alla lungimiranza dei teatri di Brescia, Cremona, Parma, Mantova e Reggio Emilia che hanno dato inizio al movimento alla fine degli anni ‘60. Ha ricordato Enzo Ricci: “Dopo un periodo difficile, sulla necessità o meno di associarsi, abbiamo iniziato a trattare con Montecitorio e, vedendo che anche i politici ascoltavano le nostre idee, abbiamo elaborato un primo Statuto dell’Atit. Un interlocutore importante per noi è stata l’Agis che sin dall’inizio ha creduto, ha aiutato e aiuta l’associazione”.

“L’Atit – ha aggiunto Ricci – prosegue oggi la sua opera, lavorando per tutti i teatri di tradizione sempre mantenendosi sui binari tracciati da un efficace Statuto. La Direzione attuale è formata da validi operatori, funzionari di vari teatri, che vivono giornalmente i molteplici problemi che sorgono nei diversi teatri associati. Cura inoltre le normative che regolano i rapporti di collaborazione fra i teatri e le masse come orchestra, coro, tecnici ed enti assistenziali”.

Giuseppe Gherpelli, presidente dell’associazione dal 16 dicembre 2013, ha sottolineato: “Il mio mandato è nel segno della continuità. L’associazione ha una lunga storia virtuosa di correttezza amministrativa, di impegno costante nella individuazione dei punti di sviluppo sia artistici, che culturali e organizzativo-economici. Uno dei punti fermi per aderire all’Atit è avere i conti in ordine, quindi bilanci trasparenti, capacità e risorse chiare e proprie”. In quest’ottica, Atit ha deciso di mettere a punto quella che è stata soprannominata la “Carta di identità”, che sarà pronta tra settembre e ottobre 2015: si tratta di un documento che conterrà in modo preciso tutti i dati emersi da una ricognizione tra gli associati.

Tra i problemi che l’Atit ha lamentato, così come tutto il mondo dello spettacolo del vivo, la carenza delle risorse. L’associazione è in prima linea per risolvere i problemi che riguardano l’erogazione dei finanziamenti pubblici: è sempre stata attenta a coadiuvare il legislatore nel miglioramento delle metodologie con cui arrivare a definire l’attribuzione delle sovvenzioni. L’Atit sta per questo collaborando con il Mibact per una riformulazione della legge 800: “Come tutti, stiamo soffrendo per la crisi che attanaglia tutto il settore culturale italiano. Abbiamo lavorato per ottenere dal ministero per i beni e le attività culturali – e siamo grati al ministro Franceschini per averlo accordato insieme al Parlamento in sede di legge di stabilità del 2014 – l’estensione ai teatri di tradizione dei benefici fiscali che vanno sotto il nome di Art Bonus, riconosciuti prima alle fondazioni liricosinfoniche e che ora possono costituire per noi un motivo in più di raccolta di adesioni da parte di soggetti privati. Vorremmo anche contribuire a una modifica delle modalità di attribuzione delle sovvenzioni ai teatri di tradizione con la revisione di alcuni aspetti del decreto ministeriale approvato l’anno scorso e che è in fase di istruttoria e implementazione proprio in questi mesi” ha sottolineato il presidente.

“Presumo – ha aggiunto Gherpelli – che la nuova legge terrà conto dei cambiamenti avvenuti nel corso dei 48 anni di vita della legge 800, soprattutto sul piano gestionale. La quasi totalità dei teatri di tradizione oggi non è più gestita dalle amministrazione, ma da figure giuridiche di tipo privatistico, la maggior parte delle quali sono fondazioni. Spero che una revisione della legge 800 possa essere una buona occasione per rispecchiare meglio in sede legislativa quella che è l’oggettiva presenza dei teatri nel tessuto culturale e nazionale italiano”.

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