Il direttore artistico Pippo Delbono presenta Astiteatro | Giornale dello Spettacolo
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Il direttore artistico Pippo Delbono presenta Astiteatro

L'artista vuole lasciare un segno già dal titolo del 'suo' festival: Passione amore fede. Il programma è di forte interesse con molti nomi internazionali e debutti.

Il direttore artistico Pippo Delbono presenta Astiteatro
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9 Giugno 2015 - 10.48


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Dal 24 al 30 giugno 2015, Asti ospiterà la 37ma edizione di Astiteatro che affida la direzione artistica a Pippo Delbono: «La direzione di Pippo Delbono – dice l’Assessore alla Cultura di Asti, Massimo Cotto – apre un nuovo capitolo di un libro che ha conosciuto pagine esaltanti, ma che ha bisogno di altro inchiostro. La scelta dell’attore e regista ligure mi pare perfetta in questa direzione».
Il nuovo corso è stata annunciato nella scorsa edizione di Astiteatro – il 29, 30 e 31 luglio – dal progetto Io con gli altri – Incontri tra artisti: aspettando il festival che verrà prologo alle edizioni 2015 e 2016 della rassegna piemontese.

«Quando ho accettato di dirigere il festival di Asti – dichiara Delbono – ho pensato innanzitutto al bisogno di fare qualcosa per aprire la visione del teatro: un incontro tra esseri umani, come diceva Bergman, e basta. Per questo ho chiesto a degli amici che operano in arti diverse, quali il teatro, la danza, la musica, il cinema, l’arte contemporanea, la politica, di sostenere questa idea di festival che nel biennio 2015/2016 dovrà svilupparsi. E mi sembra giusto proprio ad Asti, un luogo storico del teatro e della drammaturgia. (…) Mi piacerebbe diventasse il luogo di una vera nuova drammaturgia contemporanea. Una drammaturgia fatta con le parole, con i corpi, con i suoni, con le immagini, con il bisogno di ascolto, di un nuovo ascolto; una drammaturgia per i colti e gli incolti, gli italiani, gli europei, una drammaturgia che possa parlare anche agli immigrati, agli zingari, agli esclusi dai luoghi sacri della cultura. Una drammaturgia di questo tempo moderno ma vecchio, che ha perso l’antico, questo tempo ancora così buio, stantio, fermo, bisognoso più che mai di una rivolta artistica».

Una rivolta artistica che può avvenire soltanto attraverso la messa in atto di tre parole – che Delbono ha voluto come titolo della prima edizione del “suo” Festival – e che esprimono l’unico modo possibile per fare ancora arte: Passione, amore, fede.

Non una vetrina in cui gli artisti esibiscano le loro ultime creazioni, ma un luogo libero e aperto in cui gli artisti possano incontrarsi per riflettere, condividere, ascoltare, insieme al pubblico: riflettere sul tempo dolente che stiamo vivendo, un tempo di guerra, che ogni giorno ci restituisce immagini di inaudita violenza, di violazione dei diritti umani e della dignità dell’essere umano; un tempo che non conta più i corpi che ogni giorno il mare restituisce – corpi senza nome e senza storia – un tempo che ha perso la bellezza, la capacità di sperimentare la solidarietà per gli altri e la capacità di entrare in empatia, un tempo dove passione, amore e fede sono sempre più parole svuotate di contenuto. Ecco dunque qual è la scommessa della direzione artistica di Delbono: creare una preziosa occasione di incontro per pensare insieme quale è il ruolo dell’Arte oggi, mettere in scena l’arte, quella vera, quella sincera, non autoriferita ma in contatto con l’altro, senza però «mai perdere il senso del teatro come gioco, come divertimento, come sogno. Senza mai perdere la leggerezza» – sottolinea Delbono.

E per farlo l’artista ligure ha attuato una “chiamata” – ben espressa dall’immagine che l’artista Guido Lotti ha ideato per il Festival – cui hanno risposto moltissimi artisti provenienti da tutto il mondo: musicisti, attori, danzatori, fotografi, registi – in una voluta fusione delle diverse arti – e ha individuato due filoni molto forti e precisi intorno cui si snoda il Festival: i profughi e le donne

Donne forti, intense, la cui personalità ha segnato il campo in cui agiscono: da Giulia Lazzarini, a Letizia Battaglia, Olga De Soto, Teresa Larraga.

Giulia Lazzarini, simbolo del grande teatro di parola, apre il Festival mercoledì 24 giugno con il monologo Muri. Prima e dopo Basaglia scritto da Renato Sarti e prodotto dal Teatro della Cooperativa in collaborazione con il Mittlefest. Un testo particolare, che Sarti ha scritto nel trentennale dell’entrata in vigore della Legge Basaglia, raccogliendo la testimonianza degli infermieri: «l’infermiera del testo – spiega Sarti – riflette sulla sua esperienza di tre decenni, e lo fa con una nostalgia particolare ma soprattutto con la lucidità estrema, quasi spietata, di chi si rende conto che la spinta di quegli anni si è affievolita e rischia di finire inghiottita dall’indifferenza che sempre di più ci ottunde».

Sempre il 24 giugno si inaugura Ma mère et les autres, prima mostra/performance di Pippo Delbono, presentata a La maison rouge di Parigi nel settembre 2014 e che arriva ad Asti in prima nazionale. Una visita guidata – per quaranta persone alla volta – attraverso un labirinto di tende di plastica, schermi, musica e video. Un poema per tutte le madri. Un viaggio in cui l’artista conduce i visitatori nel grembo di sua madre e di tutte le madri.

Un altro viaggio e un’altra donna straordinaria Letizia Battaglia Fotografa e fotoreporter palermitana i cui scatti della «Sicilia delle stragi» – il bambino con la pistola, Giovanni Falcone ai funerali di Carlo Dalla Chiesa sono parte indelebile della memoria collettiva – porterà ad Asti due mostre, allestite da giovedì 25 giugno.

La prima Gli invincibili, omaggi-decoupage ai grandi spiriti liberi del mondo, da Pasolini a Freud, al Gesù del Michelangelo diciassettenne, Marguerite Yourcenar o Joyce, Pina Bausch e Pasolini alla casa della madre con le straordinarie fotografie che la fotografa siciliana scattò a Pasolini nel novembre del 1972 quando i fu invitato al Circolo Turati di Milano a discutere della “Libertà d’espressione tra repressione e pornografia”. Lo spunto veniva dall’ultimo film di Pasolini, I racconti di Canterbury, continuamente bloccato e sbloccato dalla censura in ragione di una presunta offesa al comune senso del pudore, ai sensi dell’articolo 529 del Codice Rocco. E’ uno dei tanti capitoli dell’incredibile odissea giudiziaria di Pasolini, che pure in occasione di quell’incontro fu fatto oggetto di attenzione, ma anche di accuse. E al grande intellettuale è dedicato La rabbia uno degli spettacoli cult di Pippo Delbono, che si avvale della partecipazione di un’attrice d’eccezione: Vladimir Luxuria.( sabato 27 giugno).

Sempre giovedì 25 giugno, porterà la sua voce François Koltès, fratello del drammaturgo Bernard Marie Koltès: architetto e documentarista, lavora in Africa da oltre venti anni ed è il fondatore dell’associazione Direct Action Sahel (Associazione per la Ricerca e la diffusione di acqua in Africa occidentale); vive tra Parigi, Ortigia e l’Africa e da Ortigia ha espresso in una toccante lettera scritta a Delbono (e che Delbono ha letto pubblicamente lo scorso anno ad Ortigia film Festival) l’orrore e l’insensatezza dei barconi che ogni giorno vomitano corpi, facendo da macabro contrappunto alla bellezza, i colori, i profumi dell’isola…« (…) La lista è lunga e funerea: sono rare le imbarcazioni che sbarcano con il carico completo. (…) Ma sotto accusa non è il mare. (…) Vivo a Ortigia da qualche mese, nell’isola di Siracusa, la più bella, e sto bene qui. Mi piacciono le persone, mi piace il vino, il caffè, la luce, il mare, lo Scoglio da dove i ragazzini si tuffano nell’acqua limpida tra i pesci. Ma mi è entrata una bestia nella testa, che mi divora (…) ». Da questa sofferta consapevolezza, nasce l’installazione/performance che Koltès realizzerà ad Asti: fantocci, corpi inanimati, senza volto, senza nome, profughi che dai lidi di tutto il mondo e dal mare della Sicilia giungono ovunque. E intorno ad essa si chiameranno ad agire artisti, con una parola, un gesto, una canzone. La parola agli artisti sulla condizione dell’essere artisti ora, oggi, anche e soprattutto alla luce del nuovo Regolamento sulla cultura attuato in Italia dal Ministero per i Beni Culturali.

Giovedì 25 giugno inaugurerà anche la sezione dedicata al cinema che propone due film-documento. Il primo Una nobile rivoluzione di Simone Cangelosi il documentario si pone l’obiettivo di decifrare la dimensione storica di una delle figure più preminenti del movimento politico per i diritti civili italiano degli ultimi quarant’anni, Marcella Di Folco, leader del MIT (Movimento Identità Transessuale). La ricostruzione del film non vuol essere però ‘oggettiva’, ma compiuta attraverso il filtro di una relazione intima, quella del regista stesso con la protagonista.

Nel film si intrecciano numerosi piani narrativi composti da una vasta eterogeneità di materiali audiovisivi e sonori: la vita di Marcella prima a Roma e poi, una volta donna, a Bologna raccontata dalla stessa Marcella e dalla voce dei parenti ed amici che Simone incontra oggi durante il suo viaggio; il ritratto di Marcella a cavallo tra la dimensione pubblica e quella privata come emerge dai materiali audiovisivi ufficiali e da quelli privati dei suoi amici e compagni bolognesi; il contrappunto delle vicende storiche italiane, che qua e là emergono sullo sfondo a incasellare le vicende personali di Marcella e le sue battaglie all’interno della più vasta descrizione del paese. Infine il rapporto tra Marcella e Simone che, con andamento carsico, sempre ai margini dell’inquadratura, ci accompagna dall’inizio alla fine del film.

Domenica 28 giugno verrà presentato Il grande silenzio di Philip Gröning. Risultato di metri e metri di pellicola girati dal regista durante i suoi quattro mesi di permanenza presso il monastero della Grande Chartreuse, sulle Alpi francesi (circa a 30 km da Grenoble), Il grande silenzio è un’opera trasversale nel panorama del cinema contemporaneo occidentale. Si tratta di uno dei pochi casi in cui l’occhio del regista e quello dello spettatore registrano le stesse sensazioni, hanno gli stessi dubbi, cercano le stesse vie di fuga; per quasi tre ore si ascolta il silenzio e l’attenzione cede al fascino dell’immagine e si lascia condurre lungo i corridoi del monastero a seguire la quotidianità dei padri.

Quello di Gröning non è uno sguardo invasivo e nulla ha a che vedere con la dimensione voyeuristica che di recente ha stravolto i palinsesti televisivi dei cinque continenti.

Un film fisico che ridefinisce i concetti di spazio e tempo, tramutando la visione in un’esperienza non solo emotiva, ma anche percettiva. Sarà presente il regista.

Dal Belgio arriva in Prima nazionale uno spettacolo preziosissimo: Débords. Réflexions sur La Table Verte della coreografa Olga De Soto (venerdì 26 giugno, Teatro Alfieri). Il lavoro della danzatrice e coreografa spagnola – stabilitasi a Bruxelles nel 1990 – crea una storia della danza contemporanea –. partendo dallo studio di un’opera essenziale nella storia della danza, Le table verte creata nel 1932 dal coreografo tedesco Kurt Jooss – maestro di Pina Bausch – (di cui vengono mostrate immagini inedite) – nel periodo turbolento tra le due guerre nel momento di ascesa del nazionalsocialismo in Germania. Olga de Soto ha raccolto e trasformato in video, nel corso di dieci anni, testimonianze sulla percezione dell’opera di Joos da parte di persone diverse che l’ hanno vista in momenti diversi della storia e in diversi paesi e le ha intrecciate con interviste a danzatori di diverse generazioni che hanno interpretato il ruolo di “morte”; ha poi invitato un gruppo di ballerini ad indagare sul peso che ha oggi una tale opera, sia dal punto di vista dell’estetica, sia da quello politico. Il risultato è uno spettacolo di rara bellezza e poesia oltre che di impagabile valore storico e politico.

Il viaggio continua sabato 27 giugno con la poliedrica artista spagnola, ma svizzera d’adozione Teresa Larraga, accompagnata dal musicista e compositore Evan Métral con il suo concerto – spettacolo Boleros, condurrà lo spettatore nell’universo musicale del ” Bolero” latino; una proposta teatrale divertente e poetica per fare sognare piccoli e grandi; le Voci Nomadi gruppo vocale nato dall’incontro del canto a Tenore Sardo col canto difonico della Mongolia: due popoli, che appartengono alla medesima storia universale, ultimi testimoni di un passato in cui l’uomo sapeva vivere in simbiosi con la natura e lo spettacolo La rabbia di Pippo Delbono.

La bellezza è condizionata dal proprio background storico, dalle proprie radici d’infanzia? In quali termini possiamo parlare di identità, appartenenza e radici, oggi, negli anni 10 del ventunesimo secolo? Glen Çaçi, (domenica 28 giugno) giovane coreografo italo-albanese, decide di affrontare queste e altre questioni in KK. I’m a kommunist kid attraversando da neo-cittadino europeo le sue radici albanesi insieme al fratello Olger, anche lui emigrato in Europa negli anni ’90, da oltre sedici anni assente dall’Albania, ma tuttora in attesa della cittadinanza spagnola. Entrambi, da condizioni e punti di vista diversi, si confrontano in scena con i propri ricordi dell’Albania, un’Albania pre-globalizzazione vissuta durante l’infanzia e l’adolescenza; un’Albania che quindi per necessità re-inventano a livello mnemonico-immaginativo con il loro sguardo di oggi. KK diventa così una riflessione politico-performativa sulla proprietà territoriale e sull’identità culturale, filtrata da un’ironia cruda e pungente; una traduzione coreografico-contemporanea dell’estetica di un’infanzia post-comunista

Non mancherà uno sguardo alla drammaturgia contemporanea, di cui cui Astiteatro è stato sin dagli esordi tempio indiscusso, con due spettacoli dei registi Salvino Raco e Igor Pison.

Salvino Raco mette in scena Anna Politkovskaja in memoriam dello svedese Lars Norén; fra i più autorevoli drammaturghi contemporanei, Norén rende omaggio ad Anna Politkovskaja con un testo crudo nei contenuti e nel linguaggio: una storia di amara emarginazione e di feroce violenza sui più deboli, donne e minori. I protagonisti del dramma sono quegli stessi reietti che la giornalista russa, instancabile sostenitrice dei diritti civili, aveva più volte difeso nella sua vita. Salvino Raco ne mette in scena la miseria, affidandosi non solo alla parola, ma anche ai suoni e alle immagini, con l’obiettivo di stimolare lo spettatore sul tema della violenza e “condurlo alla riflessione sulla condizione dell’essere umano e dei suoi atti”. I luoghi evocati nel testo vengono restituiti attraverso i suoni elaborati da Nicola Tripaldi e i video e le immagini di sferzante eloquenza di Giulio Dimitri (domenica 28 giugno).

Igor Pison, 33 anni, triestino di nascita ma di cultura slovena e formazione tedesca crea un visionario allestimento di Rosso Venerdì di Roberto Cavosi, spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Trieste e presentato ad Asti in prima nazionale lunedì 29 giugno; Cavosi, uno degli autori più affascinanti e profondi del panorama italiano, crea un’intrigante struttura drammaturgica di “monologo a più voci” intrecciando diversi flussi di coscienza che si compongono in una storia attuale, di uomini e donne con i loro peccati, imperfezioni, sogni e fragilità; una Passione moderna e palpitante di verità, che ci parla attraverso un mosaico di storie. L’autore guarda talvolta con durezza, talaltra con profonda comprensione i suoi protagonisti, ai quali concede, dopo il vortice d’angoscia del Calvario, un raggio di speranza.
Lunedì 29 il Festival ospita un grande evento: Dervisci Rotanti – Galata Mevlevi Ensemble.

I dervisci rotanti Galata Mevlevi Ensemble del Maestro Sheik Nail Kesova”sono stati dichiarati dall’ UNESCO “Patrimonio culturale dell’umanità”: essi rappresentano ormai il simbolo del misticismo orientale, che ha origine nel XIII secolo circa. Il loro spettacolo – suddiviso in 7 parti – è molto intenso emotivamente e spiritualmente e cattura il pubblico lasciandolo senza fiato: vestiti di una tunica bianca come un sudario, un copricapo che richiama le pietre tombali dei paesi musulmani, le braccia aperte verso il cielo e lo sguardo rivolto al cuore, diversi uomini danzano piroettando e girando intorno al loro maestro. L’aspetto straordinariamente suggestivo di questo rituale di ormai 700 anni è la volontà di connettere i tre componenti fondamentali della natura umana: lo spirito (mente e pensiero), l’amore (emozioni, poesia e musica) e l’anima (vita, movimento e Sema).

Il Galata Mevlevi Ensemble può essere definita l’avanguardia nelle tradizioni di questa fratellanza. Nel suo monastero Sheik Nail Kesova ha composto molti pezzo liturgici, aiutato da artisti asiatici e occidentali e da orchestre creando nuovi stili e melodie. Nail Kesova, nato nel 1939, è ancora il maestro. E’ lui che gestisce il rituale dando i tempi per la musica e per le danze.

Martedì 30 giugno calerà il sipario sulla 37ma edizione del Festival con un evento in cui cinema e teatro si fonderanno: circa venti profughi del Centro astigiano saranno i protagonisti della prima tappa del nuovo lavoro cinematografico e teatrale di Pippo Delbono sul Vangelo. Il pubblico sarà chiamato ad assistere ma anche a partecipare, con l’attenzione e la “sacralità” con cui si assiste e si partecipa ad un rito che sarà scandito dal ritmo naturale della luce che dal tramonto volgerà nella notte. Un evento molto speciale, che riserverà molte sorprese.

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