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Comedians, parla Sarti: il genere comico merita l’Olimpo

Intervista al regista Renato Sarti che porta in scena fino al 22 Febbraio 2015 nella Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini lo spettacolo 'Comedians'.

Comedians, parla Sarti: il genere comico merita l’Olimpo
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17 Febbraio 2015 - 10.33


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di Chiara D’Ambros

Ha debuttatto ieri, 16 febbraio 2015, e rimarrà in scena fino al 22 Febbraio nella Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini lo spettacolo Comedians traduzione e regia di Renato Sarti, a partire dalla commedia originale di Trevor Griffiths di cui lo stesso sarti era stato un interprete. Musiche di Carlo Boccadoro. In scena Margherita Antonelli, Alessandra Faiella, Rita Pelusio, Claudia Penoni, Nicoletta Ramorino e Rossana Mola. Chi meglio del regista può raccontare questo nuova produzione del teatro della Cooperativa?

Questo nuovo spettacolo ha le radici in un passato storico che hai vissuto in prima persona…

Si diciamo così la prima volta che fu presentato in Italia nell’ 85, prodotto dal teatro dell’Elfo con la regia di Salvatores, sul palcoscenico un gruppo di attori allora più o meno sconosciuti tra i quali: Gigi Alberti, Gianni Paladino, Paolo Rossi, Bebo Storti, Io, Antonio Catania, Silvio Orlando , Claudio Bisio. Con la collaborazione di gilio michele. È stato uno spettacolo storico che ha girato per 15 anni, parlava della comicità prima dell’avvento dei drive in, on in contemporanea dello scoppio della tv privata nel nostro paese e tutto quello che ha comportato. Fu un fenomeno straordinario.

Da cosa le è nata la necessità di riproporlo seppure apportando significative variazioni?

Uno perché penso che l’assioma di fondo, quello posto da Griffit, il filone del testo di Griffit, è rimasto inalterato. Ossia l’assioma è che ci sono due tipi di comicità, anche se è difficile stabilirne il confine esatto, una parte dalla povera gente, da un rapporto continuo con la realtà che ci circonda, e l’altra di pura evasione, di battute, di tormentoni, di luoghi comuni e imitazioni facili. Quindi si ripropone questo anche oggi, e per questo credo possa essere estremamente attuale. C’è un tipo di comicità che in qualche maniera riesce a cambiare la realtà e a far pensare e poi c’è un altro tipo di comicità che invece è un po’ così di evasione, leggera e a volte anche un po’ becera.

Cosa della comicità fa pensare?

Anche se parte dalle budella, perché la risata da lì parte, non proprio il luogo più nobile dell’uomo si riesce a scardinare un meccanismo dell’ovvietà, perché la battuta è basata sulla sorpresa, sull’imprevedibile, l’inaspettato. C’è una reazione molto umana, molto fisica, che fa scattare la risata ma facendo vedere anche cose che non si notano altrimenti. Nel caso specifico, per cercare di dare lo stesso impatto che aveva dato la versione storica, l’idea è stata di portarla al femminile quindi si tratta di vedere il tema della comicità dal punto di vista delle donne che, si sa hanno, un’attenzione per la vita e per le cose del mondo, che non dico più bello o più brutto, migliore o peggiore ma di sicuro diverso da quello dell’uomo.

C’è un momento dello spettacolo in cui viene in luce in particolare questo aspetto?

Ce ne sono diversi. In scena ci sono due delle quattro allieve di una professoressa di lezione di comicità, che tradiscono i suoi dettami e non si rifanno a quel mondo della comicità che va da Dario Fo, a Jannacci, ai Gufi, a Cochi e Renato. Quindi il testo vive anche di questa dinamica che ha uno scatto quando le quattro vengono a sapere che al loro saggio ci sarà una talent Scout di una televisione privata, e fa capire cosa vuole dice: “ricordatevi che voi siete dispensatrici di risate, dovete aver in mente l’evasione, non pensate”. All’interno di questo sviluppo ci sono numerosi episodi di come si può far vedere la comicità femminile, il rapporto della professoressa, interpretato da Nicolatta Ramorino, che nella vita sono 40 anni che insegna teatro in una scuola, che ha l’allieva preferita, che scivola inevitabilmente nella vita privata delle due. Questo scendere nel privato è una cosa che le donne sanno fare mentre gli uomini no. Faccio un esempio, io ho lavorato molto sulla deportazione, e sui sopravissuti al nazifascismo e al tempo avevo letto tantissime testimonianze. Bene, l’attenzione delle donne per quel che riguarda gli aspetti dell’intimità, degli affetti, della natura, l’osservazione della luna in una notte in cui sono in baracca, il fare un alberello di Natale anche solo con un rametto o anche il darsi un po’ di tono con della margarina di occhi… Ecco quel tipo di attenzione in qualche maniera cerchiamo di farlo ricadere anche all’interno dello sviluppo di questo testo che non era elemento previsto nella versione di Griffith. Un altro esempio, è che una delle due altre attrici che non tradisce la professoressa è di origine ucraina, e fa la governante più che la badante. Lei fa un numero sul rapporto con la “sua vecchietta”, la sua padrona e viene fuori un quadro molto tenero, molto dolce e umano.

A proposito del mondo femminile e la citazione del mondo televisivo che spesso mostra la donna da “certi” punti di vista, come viene dato spazio all’universo femminile comico?

C’è una battuta della professoressa che dice: “Il comico rischia, una comica ancora di più, partite dal vostro vissuto, partite dalle vostre esperienze personali, partite dalle cose che vi tormentano, dalla vostra vita”. Chi tradisce ne parla in modo più becero chi non tradisce in modo un po’ più profondo. L’intelaiatura principale è rimasta la stessa del testo di Griffith, però poi è cambiata molto nella rielaborazione e nell’adattamento proprio grazie alla partecipazione di queste attrici che hanno lavorato, improvvisato con me su tematiche nuove che non c’erano quando i personaggi erano maschili.

Un’ultima domanda rispetto alla leggerezza che la comicità permette, ma che affonda nella profondità. Come hai vissuto questa possibilità di poter utilizzare la leggerezza per andare in profondità?

Apri un capitolo su cui potrei parlare per ore. Nel senso che è uno degli elementi che ha determinato la scelta di questo testo, come è uno degli elementi che ha determinato la scelta di molti spettacoli del Teatro della Cooperativa, come “La nave fantasma” o “Io santo, tu beato” che partono comici ma poi parlano dell’immigrazione, della chiesa, della fede. Io credo che al nostro Paese, e nel nostro teatro, ci sia sempre una sottovalutazione, una specie di atteggiamento un po’ snobistico, da puzza sotto il naso da parte di certa intelligentia nei confronti del comico. Il comico non è una categoria di serie B, è una delle categorie più nobili del teatro, anche perché ha una componente fondamentale, è il più difficile dei mestieri teatrali. L’attore tragico sul palco, quando recita Macbeth o Amleto è convinto che il pubblico nel buio della sala sia assorto, piange, si dispera, in realtà dorme, si annoia spesso, mentre nel comico questo non più avvenire perché dopo quattro battute che vanno a vuoto è la fine. Mi sono trovato in situazioni tali, uno vorrebbe ammazzarsi. E poi ci si dimentica di due o tre cose importanti: la commedia dell’arte è nata nel nostro paese! Ai tempi la commedia dell’arte i vari Pantaloni, arlecchini, Balanzoni che andavano in tutta Europa e in tutto il mondo. Non si sa se sono stati fisicamente in Inghilterra ma Shakespeare parla di un Pantalone in “Così è se vi piace”. Era un fenomeno paragonabile ai Rolling Stones e a Bob Dylan oggi, facevano successo, facevano soldi, rompevano le convenzioni etiche, morali, conformistiche della corte, i potenti cercavano di fermarli. La commedia dell’arte è stata un capitolo glorioso, Croce dice che è lì la base del nuovo teatro, del teatro moderno. Noi ce la siamo quasi dimenticata, nelle scuole di arte drammatica non si insegna più. Teniamo conto che gli attori comici possono fare i tragici, mentre non succede il contrario. Ricordiamo che Rossellini per fare il film forse più importante di tutto il dopoguerra italiano e di tutta la cinematografia dal dopoguerra in poi, “Roma città aperta” prende due attori del varietà romano Magani e Fabrizi e ne fa un capolavoro. Totò in vita è stato massacrato dalla critica, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia idem. Sanguineti uno dei pochi intellettuali, diciamo così, onesti, una volta dopo la morte di Franco Franchi scrisse: “Quanto siamo stati presuntuosi, superficiali e stupidi a massacrare queste vere anime del popolo”. Dietro le bare dei vari personaggi che ho citato adesso, Alberto Sordi, Ingrassia, Franchi, ci sono centinaia di migliaia di persone, perché? Perché il popolo si riconosce in questi piccoli eroi, che con una battuta, in qualche maniera, li riscatta da una vita di sofferenze, di schiavitù, di sfruttamento,di disagio.

Quindi il comico, secondo me, è un’arte meravigliosa. Io devo dire mi sento più portato per il tragico ma avendo lavorato molto sul comico al Teatro dell’Elfo e prima con la scuola civica, ritengo che il comico sia un’arte assolutamente nobile e mi fa piacere questa provocazione di questo spettacolo e la trovo ed è importante. Per me che ho scritto spettacoli sulla deportazione, sul fascismo, sulle donne e la resistenza, su Tito, su argomenti sempre tragici, lavorare sul comico è una bellissima sfida e ritengo sia un genere che ha parità di diritto come prima categoria del teatro. Inoltre trovo davvero interessante la presenza delle interpreti femminili, proprio perché le donne in tutti i campi vengono trattate un po’ male ma ricordiamoci che siamo nel paese di Tina Pica, Franca Valeri. C’è una miriade di attrici straordinarie dal punto di vista comico che non hanno avuto forse il riconoscimento che sarebbe loro aspettato. Quindi secondo me questo spettacolo è anche questo, una sorta di proclama che il comico ha diritto di stare nell’olimpo del teatro sia al maschile che la femminile.

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