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Della delicatezza e della cura, il teatro delle Voci dell'Anima

Ultima tappa del festival Voci dell'Anima. Le ragioni di questa iniziativa e del convegno Ma anche no! di Rimini. Intervista a Elisa Barucchieri.

Della delicatezza e della cura, il teatro delle Voci dell'Anima
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17 Ottobre 2014 - 19.30


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Il festival delicato, Voci dell’Anima, in questi giorni è alle battute finali. Un festival di teatro e di danza, che ha girato l’Italia e ora è nel pieno della sua tappa finale a Rimini. Stasera venerdì in scena Sole di Valentina Capone, domani la Maddalena di Ilaria Drago. Domenica sera Antonio Rezza, a chiudere. Il tutto nel Teatro degli Atti a Rimini. Elisa Barucchieri, che risponde a queste domande di Globalist, parla del festival inventato nel 2005 da Maurizio Argan del teatro della Centena. “Dal lontano 2005 siamo parte di Le Voci dell’Anima. Prima da concorrenti, poi da sostenitrici, e infine, da partner una volta che per noi, dalla lontana Puglia, è stato possibile offrire un sostegno a questo progetto”.

Che cos’è il Festival Le Voci dell’Anima?

È un festival particolare che si sviluppa a tappe. Si tratta di un percorso in cui vengono scelte compagnie che portano in giro i loro lavori. La prima tappa in Puglia, quest’anno come l’anno passato al Teatro Rossini di Gioia del Colle, grazie alla residenza che ResExtensa ha in Teatri Abitati (nel 2011 e 2012 a Bitonto), e poi in altre situazioni in tutt’Italia. Quest’anno, per esempio, abbiamo fatto tappa al Crt, alla Triennale di Milano, Una cosa bella è che in ogni luogo dove ci fermiamo con gli spettacoli ci sono una giuria critica e una giuria popolare. Le persone che fanno parte delle giurie non solo votano, ma scrivono anche un commento, esprimono un parere ragionato. Condivisione di percezioni e suggerimenti, emozioni… La tappa finale ogni anno è a Rimini. La giuria popolare è formata dal pubblico, quella critica non solo dai soliti noti. Diciamo che è formata da persone che dedicano la vita alla comunicazione artistica. E siamo felici di avere anche insegnanti delle scuole, che portano il loro sguardo e il rapporto con i ragazzini. Insomma non è un festival di teatro canonico, con esperti di teatro che parlano solo loro e solo tra di loro.

Perché questo appuntamento è necessario?

È un festival aperto: aperto a tutti, non è un festival di prime assolute o dedicato a una fascia generazionale particolare. Ci sono dentro molti lavori non nuovi, che sono stati presentati e riletti per questa occasione, tipo Sole della Capone che è datato 2002. Sì, è necessario perché sono rare le occasioni di sottile, delicata cura del teatro e dell’artista, nel momento in cui l’artista denuda la propria anima sul palco… Qui si crea un senso di comunità, di sensazioni, percezioni. Un sostegno tra pari. Non vieni per essere giudicato, ma è davvero un’altra cosa rispetto a quello che siamo abituati a vedere. Si tratta di una domanda posta in uno spazio protetto, dove uno può rischiare.

La delicata, fragile intimità di Le Voci dell’Anima è la sua forza. Questo il senso?

Creare questo spazio di cura. Sento che è così: sia noi, che la Centena o Franca Ferrari del Crt ci mettiamo a difesa dello spazio. Non importa della selezione o dei giudizi, è importante creare un luogo di festa del teatro, in cui l’artista si senta protetto. Il focus è proprio sul percorso dell’artista che partecipa, che trovi in questo luogo la totale creatività, la sua anima. Il festival ha il nome giusto: Voci dell’Anima.

Ma anche no! Perché questa negazione nel titolo per l’incontro sul teatro?

È un modo di dire italiano così bello, mostra ironia e disponibilità, ma per dire no: ma anche no! In questo momento di crisi decidere di dedicare la propria vita a questa forma artistica è difficile, ci viene chiesto moltissimo in cambio di quasi niente. Ma, in Italia soprattutto, le istituzioni vanno avanti con la certezza che l’artista continuerà a produrre arte, e lo farà al massimo: perché sente la responsabilità per le sue scelte artistiche, per quello che vuole comunicare. Per questo darà il massimo anche a fronte di tagli, sgarbi, umiliazioni che arrivano da chi ha il potere decisionale. Ma c’è un punto nel quale si passa da disponibilità ad abuso. Allora noi diciamo: Ma anche no! Grande disponibilità, senso di responsabilità, ma anche fermezza gentile. Vogliamo essere ascoltati. Non solo andare avanti a testa bassa: serve fermarsi un attimo. Non salveremo il mondo, non ce l’ha fatta Michelangelo, ma getteremo un seme…

Chissà, tutti noi intanto ci ritroveremo a Rimini domenica pomeriggio alle 18 e ci sentiremo meno soli. L’incontro nel Teatro degli Atti ci darà più forza. Io dico che occorre seminare. Pensare a questo tempo. Poi tra cento anni cambierà. Come dire: If I don’t go there, nobody’s there. Se io non vado lì lì non ci sarà nessuno. Va fatto perché è importante che venga fatto. (a. c.)


Elisa Barucchieri, fondatrice e direttrice artistica di ResExtensa, è direttrice artistica del progetto Teatri Abitati di ResExtensa. Fa parte del Consiglio Direttivo AIDAP – AGIS nazionale, è anche coordinatrice regionale Settore Danza per AGIS Puglia e Basilicata.

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