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Il racconto di Nanni Moretti

Un viaggio nella carriera di uno dei registi più famosi in Italia

Il racconto di Nanni Moretti
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24 Marzo 2025 - 15.59 Culture


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Nanni Moretti si racconta al Teatro Petruzzelli di Bari nella sezione incontri di cinema del Bif&st, dopo la proiezione del suo Ecce Bombo (1978) , senza riferimenti alla realtà o alla politica. Da lui solo un “Ecce Nanni” con il racconto della sua carriera da regista, produttore ed esercente, in dieci capitoli.

“Voglio raccontare in dieci voci la mia storia di regista facendo riferimento a ciò che era all’inizio e a ciò che poi è diventato”, afferma Moretti che riceve il premio “Bif&st arte del cinema” dal direttore Oscar Iarussi. Nella sezione “Super 8”, Moretti si lascia andare ai ricordi riguardanti l’inizio della sua carriera: “Oggi è più facile fare cinema, con il Super 8 girati senza negativi, era come una Polaroid. Far vedere le cose che facevi era difficile. Nel ’73, ad esempio, andai alle Giornate degli Autori, a Venezia, vicino San Marco, a portare cortometraggi. Dopo averli fatti vedere dissi che ero disponibile a ricevere domande, ma non si presentò nessuno. Da quel trauma è nata la frase di ‘Io sono un autarchico’: ‘No il dibattito no’. Tre cose per me contavano allora: parlare del mio ambiente, prenderlo in giro, e quindi anche me stesso, e poi non stare solo dietro la cinepresa, ma anche davanti, più che come attore come persona”.

E poi, nel capitolo regia, sottolinea: “Il mio lavoro di spettatore mi ha influenzato, ho voluto sempre fare i film che mi piacevano. All’inizio guardavo ai Taviani e alla loro macchina da presa fissa, ma amavo anche un regista lontano da loro come Carmelo Bene”. E poi aggiunge: “Inizialmente scrivevo da solo e mi veniva facile, oggi non mi va più di fare da solo la sceneggiatura. Ho scoperto l’avventura umana che è scrivere un film con altre persone. Così da La stanza del figlio in poi scrivo con altri sceneggiatori”.

Moretti continua a raccontarsi e sul fronte della produzione ricorda:  “Ho cominciato a fare il produttore trentotto anni fa, prima con Angelo Barbagallo e poi da solo. Mi piaceva produrre film di esordienti per restituire, almeno in parte, un pezzetto della fortuna che avevo avuto io. Tutti i miei film li ho prodotti con la Rai e la mia Sacher tranne Il portaborse, che rifiutarono, e Il caimano che decisi di non proporre per non metterli in imbarazzo”. E il regista sottolinea che spesso molte persone tendono a identificare “quello che dicono i miei personaggi con quello che penso davvero io. Un esempio: quando in Caro diario dico ‘Io sono il più grande’, sto solo citando Mohamed Ali”.

L’ultima voce del decalogo è dedicata al suo cinema Nuovo Sacher:  “Era dei Monopoli di Stato e per questo motivo doveva rimanere nel titolo la parola nuovo. L’ho voluto aprire con l’intenzione di restare sempre all’interno dell’industria cinematografica, ma portando avanti le mie idee. L’ho inaugurato nel ’91, quando c’era poca accoglienza nelle sale, alcune erano addirittura respingenti. Volevo solo proporre quello che a me sarebbe piaciuto vedere come, ad esempio, i film di Ken Loach che inizialmente proponevo solo io.” “Comunque – ci tiene a dire a fine incontro – tutte queste mie attività non le ho fatte per dovere, ma solo per piacere. Non sono un paladino”. In merito alla critica cinematografica dedica solo poche parole:  “Chiunque può dire qualsiasi cosa, io non replico mai”.

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