Enrico Mattei, il visionario che sfidò le Sette Sorelle e il suo fantasma nel Piano di Giorgia Meloni | Giornale dello Spettacolo
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Enrico Mattei, il visionario che sfidò le Sette Sorelle e il suo fantasma nel Piano di Giorgia Meloni

La sua attività in Africa fu pionieristica sostenendo che le risorse naturali dovevano essere sfruttate a beneficio delle comunità locali. Il Governo in carica sembra voler utilizzare il suo nome come solo come una sorta di “marchio”

Enrico Mattei, il visionario che sfidò le Sette Sorelle e il suo fantasma nel Piano di Giorgia Meloni
Enrico Mattei e Giorgia Meloni
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Marcello Cecconi Modifica articolo

29 Ottobre 2024 - 17.57 Culture


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Il 29 ottobre 1962, il mondo perdeva Enrico Mattei, un uomo che non solo ridefinì il panorama energetico italiano, ma si propose come un pioniere della cooperazione economica con i Paesi in via di sviluppo. Imprenditore moderno e progressista, Mattei non si limitò a cercare profitto, ma lottò contro il potere consolidato delle Sette Sorelle – i colossi petroliferi che dominavano il mercato mondiale – con una visione innovativa e un approccio imprenditoriale che cercava di garantire benefici reciproci per l’Italia e le nazioni africane ricche di risorse.

Mattei fondò l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) nel 1953, all’interno della quale l’Agip divenne la struttura portante, rompendo i tradizionali schemi del settore energetico. A differenza delle Sette Sorelle, che si imponevano con metodi predatori e contratti capestro, Mattei adottò una strategia di “patteggiamento” e cooperazione con i Paesi africani, promuovendo accordi che portassero sviluppo e investimenti locali. La sua visione era chiara: non si trattava solo di estrarre risorse, ma di creare una partnership che potesse sostenere i popoli e le economie di quei Paesi.

La sua attività in Africa si rivelò pionieristica: Mattei sosteneva che le risorse naturali dovevano essere sfruttate a beneficio delle comunità locali, contribuendo allo sviluppo sociale e infrastrutturale. In questo modo, si proponeva di sconfiggere le logiche coloniali che avevano caratterizzato le relazioni tra l’Occidente e l’Africa. Mattei, con la sua visione, dimostrava che era possibile fare impresa in modo diverso. Credeva fermamente che l’Italia potesse giocare un ruolo di rilievo nel panorama energetico mondiale, non come sfruttatore, ma come partner.

Ma Mattei e l’Italia di allora non erano interessati a politiche come quelle di oggi che hanno l’obiettivo di essere premiate da cittadini, resi odiatori seriali da un’invasione migratoria più apparente che reale, in un contesto in cui gli istinti protezionistici riaffiorano con orgoglio nazionalistico. Ecco perché, oggi, a oltre sessant’anni dalla morte di Mattei, è controversa l’eredità che il Governo Meloni vuole appropriarsi nel promettere di essere il continuatore delle sue idee attraverso il cosiddetto “Piano Mattei”, che intende rafforzare i legami economici tra Italia e Africa.

Il confronto con la visione originale di Mattei è piuttosto azzardata. Mentre lui lottava per una cooperazione genuina, l’attuale governo sembra voler utilizzare il nome di Mattei come una sorta di “marchio” per affermare un’agenda geopolitica che alla fine rischia di riprodurre le dinamiche imperialiste che lui combatteva. Le poche risorse con cui nasce il Piano Mattei mette ancora più in risalto la tara genetica che ne fa presagire un futuro poco brillante. IL timore è che si ripeta una logica di sfruttamento in un contesto in cui l’africanizzazione delle risorse sembra più una strategia geopolitica per frenare l’immigrazione che una reale opportunità di crescita per i Paesi coinvolti.

“Sul Piano Mattei avremmo auspicato essere consultati” diceva il presidente della Commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, alla presentazione del piano il 29 gennaio scorso. Dunque se oggi il Governo Meloni intendesse davvero rendere onore a Mattei, dovrebbe riflettere sulla diversità di approccio. La modernità dell’imprenditore amico di Giorgio La Pira non risiedeva solo nell’idea di investire in Africa, ma nell’impegnarsi a costruire un dialogo equo e rispettoso, dove ogni attore ha voce e diritti. La sua eredità ci insegna che la vera cooperazione richiede rispetto e ascolto reciproco, non solo patti vantaggiosi per il potere.

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