di Marcello Cecconi
I ragazzi e le ragazze di colore, e non solo, che hanno partecipato alle Olimpiadi rimpinguando il malloppo di medaglie per gli Azzurri e la ricchezza dei social per le animate discussioni sulla loro pelle, rinfocolano il dibattito sulle più o meno recenti proposte legislative in Parlamento per la riforma della legge sulla cittadinanza italiana. Ad oggi la legge è basata sul principio dello Ius Sanguinis ed è applicato attraverso la legge 91 del 1992 che appare, a molti, superato.
Lo Ius Sanguinis prevede di fatto che la cittadinanza italiana venga trasmessa ai figli di cittadini italiani, indipendentemente dal luogo di nascita. Concetto radicato nella nostra storia ma che la multiculturalità della società attuale fa apparire stantio. Il principio dello Ius Sanguinis, ovvero il diritto di sangue, tiene in una specie di sospensione giuridica i figli di migranti nati e cresciuti in Italia.
Nelle ultime legislazioni e sotto svariati governi abbiamo assistito a numerosi tentativi di riformare la legge sulla cittadinanza. I modelli più importanti sono stati lo Ius Soli, lo Ius Scholae e lo Ius Culturae. Ognuno di questi mira a una differente soluzione al problema dell’integrazione dei minorenni stranieri. Vediamoli ad uno ad uno.
Ius Scholae – È il modello che adesso è al centro del dibattito attuale e che appare il compromesso migliore per unire le varie proposte di legge presentate da esponenti del centrosinistra. Con questa misura i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni potranno ottenere la cittadinanza solo se avranno frequentato regolarmente la scuola italiana per almeno cinque anni. Alla base del modello l’idea che l’istruzione sia un ponte fondamentale per l’integrazione sociale e culturale di quei giovani nel paese ospitante.
In questa direzione, la proposta di legge della senatrice del PD Simona Malpezzi è particolarmente efficace e va oltre, in quanto oltre a concedere la cittadinanza per i giovani che soddisfano i requisiti di cui sopra riconosce come equivalenti ai cicli scolastici tradizionali anche i percorsi di istruzione e formazione professionale. La proposta di Luana Zanella di Alleanza Verdi e Sinistra e quella della deputata M5S Vittoria Baldino condividono questi principi, segnando un consenso tra le diverse forze progressiste sulla centralità dell’istruzione nell’acquisizione della cittadinanza.
Ius Soli – Oltre allo ius scholae, ci sono altre proposte di legge per l’introduzione dello ius soli, un principio che garantirebbe la cittadinanza a chiunque nasca sul territorio italiano, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Sebbene molti Paesi adottino questo principio, in Italia rimane limitato a casi eccezionali come la nascita da genitori ignoti o apolidi. Le proposte di legge dell’ex presidente della Camera Laura Boldrini e dai deputati Matteo Orfini e Francesco Verducci si spingono più in là, cercando di estendere il diritto di cittadinanza a tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri con permessi di soggiorno regolari.
Queste ultime proposte vedono, in particolare, il netto contrasto di Forza Italia e Lega, con quest’ultima che non perde occasione di accendere discussioni animate definendo “scorciatoie” le proposte di ius soli. La Lega continua a sostenere che l’attuale legge sulla cittadinanza del 1992 è più che sufficiente visto che l’Italia è la prima in Europa per concessione di cittadinanze. Più possibilista Forza Italia che, tramite il portavoce Raffaele Nevi, ha ribadito che la posizione del partito è più possibilista rispetto allo ius scholae, criticando la campagna divisiva della Lega.
Ius Culturae – È questa un’ulteriore proposta di rilievo che lega l’acquisizione della cittadinanza al completamento di un percorso formativo, che può includere sia la scuola sia percorsi di istruzione e formazione professionale. La distinzione dallo ius scholae c’è per il fatto che lo Ius Culturae riconosce come criteri per la cittadinanza anche i percorsi educativi non tradizionali, come le qualifiche professionali. La proposta di legge del 2015 (il ddl S. 2092, approvato dalla Camera ma non dal Senato), che rappresentava un tentativo di integrare queste diverse dimensioni educative nella legge sulla cittadinanza non ha mai ottenuto una maggioranza sufficiente per diventare legge.
Con la legge attuale, secondo i dati recenti, sono oltre 870.000 gli studenti con cittadinanza non italiana che stanno frequentando le scuole italiane. Di questi quasi il 70% sono nati nel nostro Paese e vivono una sorta di doppia appartenenza: italiani di fatto, ma non di diritto. È evidente che la loro mancanza di cittadinanza limita le loro opportunità e costruisce barriere nell’accesso ad attività extracurriculari e ai diritti civili.
Rispondere a queste criticità è un dovere civile in una società in evoluzione ma il dibattito rimane acceso fra chi vede nello Ius Soli e Ius Scholae la necessaria integrazione attraverso l’istruzione che garantisca pari opportunità e partecipazione attiva alla vita sociale. Ma c’è anche chi vede, attraverso questi modelli, l’incentivazione all’immigrazione clandestina e la creazione di cittadini di seconda classe.
Come risponderà il Parlamento a tutte queste proposte sarà essenziale per determinare come l’Italia affronterà le questioni dell’integrazione e dell’identità nazionale nei prossimi anni.