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Enrico Menduni: "La bravura della Carrà? Ha cucito la cultura di massa tradizionale con quella mediale"

In questa intervista lo studioso riflette sui profondi motivi del suo successo e su com’è diventata un’icona del mondo televisivo

Enrico Menduni: "La bravura della Carrà? Ha cucito la cultura di massa tradizionale con quella mediale"
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6 Luglio 2021 - 12.16 Culture


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di Manuela Ballo

Il cordoglio per la scomparsa di Raffaella Carrà è stato unanime: tutti hanno riconosciuto l’immensa bravura della donna che segnato un’epoca della televisione e della cultura popolare.  Con questa intervista al professor Enrico Menduni, uno dei massimi esperti italiani di media, autore d’importanti libri sulla televisione e sulla radio, abbiamo tentato di andare oltre la naturale commozione e di conversare sulla figura di Raffaella Carrà, sulla televisione di quel tempo e sui motivi del suo radicato consenso popolare.

Tra i diversi testi che ho studiato, seguendo i corsi di giornalismo, mi viene alla mente la copertina di un suo libro in particolare, Televisione Società Italiana 1975-2000, che aveva su sfondo bianco proprio la riproduzione di una statuetta di una rossa Raffaella Carrà, scelta evidentemente come icona di quella televisione. E’ così? E cosa prova oggi rivedendo quella copertina?

Raffaella Carrà fu scelta per la copertina del libro poiché icona pop. Raffaella proveniva da un retroterra saldamente popolare, romagnolo, fatto di balere e di feste dell’Unità, di ballo liscio e di piadine, ma era diventata una entertainer nel senso americano del termine: una che sa ballare, cantare e recitare insieme. E c’era riuscita senza perdere il suo seguito popolare. Per questo era, e resta, un’icona del pop, nel momento in cui – con i media, o meglio con la televisione – l’Italia faceva della pop culture il suo vero collante sociale.

Raffaella Carrà è stata molto amata e molto seguita per decenni dal pubblico televisivo. Quali sono, secondo lei, i motivi di questa capacità di parlare alla tv generalista, al pubblico di massa? E quanto le sue esibizioni ricalcavano la televisione delle origini, quella del sabato dedicato al varietà, quando bisognava non solo saper condurre una trasmissione ma anche cantare e ballare?

La particolare bravura di Raffaella è stata quella di avere cucito la cultura di massa tradizionale con una cultura mediale, sostanzialmente transnazionale, che stava traghettando dal monopolio pedagogico all’entertainment. Un’operazione che non poteva riuscire a una Heather Parisi, perché era priva di effettive radici nell’entertainment italiano: il teatro di varietà, che poi diventa varietà televisiva, cedendo in parte il suo carattere trasgressivo e maschile.

In un altro suo libro, Video Storia, lei parla di quel particolare momento in cui, negli anni Novanta, prende corpo “la tv dell’intimità”, quando cioè convergono nel piccolo schermo due processi che caratterizzano la società: la privatizzazione della sfera pubblica e la pubblicizzazione di quella privata. La Carrà, in questa formula, anticipa la De Filippi e le numerose successive epigone.

La particolare “cucitura” tra nazionale e internazionale, fra televisione all’italiana e spettacolo hollywoodiano, significa anche una tessitura che comprende, come un tessuto che incorpora fili diversi, il pubblico e il privato. Con la televisione il pubblico diventa privato e viceversa, in tutti i sensi possibili. Se Raffaella porta lo spettacolo pubblico nelle case della gente comune, Maria De Filippi la segue facendo della vita privata uno spettacolo per tutti e di tutti (ciascuno si riconosce un po’ in quelle vicende, in quei dialoghi, in quei rapporti fra Maria e i suoi ragazzi).

Quanto è rimasto di quella televisione di cui Raffella Carrà è stata maestra? In questi tempi in cui il piccolo schermo non riesce a trovare novità o comunque il bandolo della matassa, o personaggi capaci di proporre idee innovative: non c’è il rischio di un ripiegamento nella pura nostalgia?

La tv di Raffaella è un’epoca trascorsa, come l’avanspettacolo o i cinegiornali. La televisione generalista rimane l’appuntamento di alcune grandi questioni (la pandemia, o gli europei di calcio), ma l’abbondanza delle offerte frammenta e privatizza il rapporto della gente comune con l’audiovisivo. Ognuno seleziona il proprio spettacolo: gli investimenti emotivi degli italiani di oggi, giovani e più anziani, si distribuiscono grazie ad un’infinita pluralità di proposte di cui il digitale ha garantito la distribuzione a tutti. Quello di oggi non è più il mondo dei soli media, ma dei media che affannano a riproporsi in un mondo prevalentemente digitale e social.

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