Gli sguardi dei rifugiati negli scatti senza retorica di Luisa Menazzi Moretti | Giornale dello Spettacolo
Top

Gli sguardi dei rifugiati negli scatti senza retorica di Luisa Menazzi Moretti

Dal primo luglio al Mudec di Milano i primi piani dell'artista dedicati ai migranti che lavorano la terra in Basilicata. Uomini e donne di sedici diverse nazioni del mondo per raccontare chi sono

Gli sguardi dei rifugiati negli scatti senza retorica di Luisa Menazzi Moretti
Preroll

admin Modifica articolo

27 Giugno 2021 - 09.29


ATF

Luisa Menazzi Moretti è una fotografa dei sensi. Le sue immagini lasciano il segno e colpiscono, senza alcuna retorica, perché non hanno l’obiettivo del reportage ma quello del messaggio che arriva dritto agli sguardi e alle menti. La sua ultima raccolta Io sono arriva giovedì primo luglio al Mudec – Museo delle culture di Milano dove resterà fino al 2 agosto. Si tratta di un progetto fotografico, premiato nel 2017 all’International Photography Awards di New York e presentato al Sarajevo Festival Arts and Politics del 2019. La mostra arriva nel capoluogo lombardo dopo essere stata ospitata a Matera, Lecce, Napoli, Potenza. Si tratta di venti grandi ritratti fotografici di rifugiati e richiedenti asilo, venti primi piani di uomini e donne le cui vicende sono sintetizzate in un oggetto-simbolo che nel ritratto portano con sé. Un “libro–didascalia”, con titolo e fotografia di copertina, ma dalle pagine non scritte, anticipa a fianco di ogni ritratto le storie personali di ognuno, riportate per intero alla fine della galleria.

Il lavoro, realizzato in diversi centri della Basilicata nel corso del 2017, ha coinvolto migranti che provengono da sedici nazioni diverse: Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia. Luisa Menazzi Moretti li ha ritratti in posa, con la stessa tecnica con cui in altri decenni si ritraevano i cittadini della nuova società dello sviluppo. Cambiano, però, volti ed espressioni, che raccontano ora storie diverse dalle illusorie aspirazioni dei protagonisti di quegli anni.
 
Una galleria di storie, più che di volti; narrazioni che si arricchiscono ogni giorno di una pagina nuova, molto spesso drammatica, che l’autrice sintetizza nell’idea di affiancare a ciascun ritratto un libro dalle pagine bianche, non ancora scritte, volto a suggerire l’importanza di ogni racconto orale che l’autrice ha ascoltato e registrato, ognuno diverso, tragico, denso, ognuno possibile trama di un libro.
Le opere di Luisa Menazzi Moretti nascono quasi sempre da un sentimento di nostalgia per qualcosa che sta svanendo, si sta perdendo: le lettere di un uomo giustiziato, le parole di un manifesto stracciato su di un muro, le case di una città che sta scomparendo, lo sguardo in un momento di sospensione dalla vita che sta per riprendere. È un filo rosso che unisce molti dei suoi lavori. 

Come Solo, 26 scatti che ritraggono volti di donne, ragazzi, bambini, il cui denominatore comune è il sembrare di non essere più tra noi, qui, ma forse in una condizione, uno stato oltre quello terreno, che per l’artista è privo di qualsiasi connotazione religiosa. Ritratti di anime in una dimensione atemporale: sole, smarrite, velate di sottile inquietudine, ma anche di serenità. Il centro dell’immagine è il loro sguardo che, per quanto lontano, rivela una vaga percezione di una trascorsa presenza terrena. In Solo si ritrova la vera essenza artistica di Luisa Menazzi Moretti. La foto è un pretesto poetico, messaggio, medium: solo la prosa riesce a dare una spiegazione completa all’opera.

Nell’arte di Luisa Menazzi Moretti è vivo il senso della morte come attesa. Dieci anni e ottantasette giorni è il titolo del progetto coprodotto dall’European Month of Photography di Berlino e dal Museo Santa Maria della Scala di Siena nel 2016. Il titolo è anche il tempo che in media un detenuto trascorre nel braccio della morte di Livingstone, in Texas, prima dell’esecuzione. L’artista, in questo caso, riporta alla luce un tema ormai quasi dimenticato: la morte di Stato e trasfigura in fotografia un’attesa fatta di disperazione e illusoria speranza. Negli scatti, protagonista non è mai l’esecuzione in sé, ma il sentimento che scandisce ogni singola ora e giorno trascorsi in una condizione di totale solitudine e isolamento. Le immagini dell’artista nascono dalla lettura dei testi dei carcerati: lettere, interviste, diari scritti in attesa dell’ultimo giorno, che in molti casi diventa alla fine evasione verso una libertà non più terrena. 
Ed è lo stesso sentimento di libertà che si prova osservando Cose di Natura, mostra prodotta nel 2015 dalla Galleria d’Arte Moderna di Genova, scatti che ritraggono la realtà della natura, che non hanno l’obiettivo di riprodurla, ma di evocarla. Sono immagini che suggeriscono spunti, frammenti di visioni. Nuvole, pesci, la fluidità delle acque trasparenti, la prepotenza delle onde che si riprende ciò che l’uomo ha costruito. 

Orari mostra Mudec Milano
martedì – domenica: 10.00 – 19.30 
Ingresso libero
Infoline: tel. 02/54917 (lun-ven 10.00-17.00)
mudec.it

Native

Articoli correlati