Il “Blu Celeste” di Blanco è un’opera tra il nudo e il crudo: il ritratto generazionale di un artista sui generis | Giornale dello Spettacolo
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Il “Blu Celeste” di Blanco è un’opera tra il nudo e il crudo: il ritratto generazionale di un artista sui generis

La provincia, la rabbia, l’irruenza, la nudità: ecco chi è l’artista classe 2003 che sta scalando le classifiche mondiali.

Il “Blu Celeste” di Blanco è un’opera tra il nudo e il crudo: il ritratto generazionale di un artista sui generis
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25 Settembre 2021 - 15.03


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Di Manuele Calvosa

Dodici brani a metà tra il rap, il pop-rock e qualche nota punk; talento da vendere, voce pulita, un po’ come il viso di chi ha 18 anni, ed il carisma di chi riesce a far parlare continuamente di sé. Sound fresco e senza troppi fronzoli, capace di unire l’analogico al digitale ma senza scadere in etichette di genere. E ovviamente zero banalità. 
E’ così che si presenta il primo album da solista di Blanco, al secolo Riccardo Fabbriconi, uno dei talenti più giovani del panorama musicale italiano. “Mi Fai Impazzire”, scritta con Sfera Ebbasta, è stata prima nella classifica Fimi per otto settimane, mentre “La Canzone Nostra” con Dj Mace e Salmo lo è rimasta per 34. La copertina minimal, in cui si intravede la figura dello stesso Blanco sospesa in acqua e trafitta dai raggi del sole, vuole quasi raccontare una propria e personale verità mettendola a nudo ma in modo deciso e cruento. 

Nato nell’era di Spotify, “Blu Celeste” non presenta molto coraggiosamente nessun ‘feat.’, non ci sono collaborazioni acchiappa-stream ma ogni singola canzone è stata creata esclusivamente insieme al producer Michele “Michelangelo” Zocca (eccezion fatta per “Figli di Puttana” in cui figura nei credits anche Greg Willen), produttore – tra i tanti – di Benji & Fede, Niccolò Agliardi e Francesco Renga.
Acustico per certi versi, analogico per altri, figlio del suo tempo poiché concepito nell’era del digitale: questo è “Blu Celeste”. Michelangelo lo ha vestito in modo “sporco”, sprezzante e crudo: buona parte del successo di questo lavoro è sua.
L’intera opera è un quadro generazionale che dipinge la realtà di chi vuole prendere nettamente le distanze da “ciò che va ora” e l’ossessione di non volersi fare imbrigliare dalla rete della musica mainstream: una mescolanza di generi apparentemente diversi fra loro mettono Blanco all’interno di una schiera di artisti difficilmente inquadrabili come Achille Lauro o Madame: tra l’altro i due hanno collaborato in primavera con il singolo “Tutti Muoiono”. 
Proprio come i Maneskin è arrivato in alto, scalando tutte le classifiche mondiali e tra il 10 (data di uscita) e il 12 settembre scorso, “Blu Celeste” è risultato essere l’album più ascoltato al mondo solo dietro a J Balvin e Baby Keem.

“Il ragazzo si farà”, le etichette ormai non sono più necessarie perché ogni suono è a sé stante e non bisogna per forza dargli un nome. Nonostante sia cresciuto ascoltando in famiglia i grandi cantautori italiani, da Adriano Celentano a Franco Battiato, da Gino Paoli a Domenico Modugno (e viene da sé la citazione ne “La Canzone Nostra”), non vuole assolutamente farsi influenzare dal suo background.
Lo si nota già partendo dai testi ‘teen’, molto espliciti, immediati e forse sfacciatamente banali ma che funzionano alla perfezione se amalgamati agli arrangiamenti di Michelangelo: i brani premiano di certo più l’energia che la profondità lirica.
E’ cruenta e senza peli sulla lingua la realtà che racconta all’interno di tutte le canzoni, potenti e melodiche ma senza mai scivolare nel melenso o in urla isteriche e disturbanti. Proprio come “Notti in bianco”, altro brano presente nella raccolta: una visione personale e con un taglio netto e selvaggio di un addio ad un amore tossico. Certamente un qualcosa di completamente differente da quello a cui la musica leggera italiana ci ha abituato.

Ma se non è pop allora è rap? In realtà non lo è. In una chiacchierata con ‘Rolling Stones’ aveva preferito definire ciò che fa come “musica e basta”, senza volerlo forzatamente inquadrare o racchiudere in un solo genere dandogli un’etichetta.
“Blu Celeste”, la canzone da cui prende il nome l’intero lavoro, ne è un esempio lampante: scritto quando aveva solo 16 anni, è un brano dai tratti molto delicati che mostra un lato dell’artista che ancora non si era visto, il vero momento ‘’conscious” di tutto il suo lavoro ma senza perdere quell’identità che lo rende unico.
Unico perché la provenienza dalla provincia gli ha permesso di sdoganare il falso mito che “per arrivare a certi livelli” in Italia bisogna trovarsi nei grandi centri urbani come Roma o Milano.
Probabilmente la realtà modesta di Calvagese gli ha consentito di capire che il trend non deve essere seguito ma evitato, avvantaggiando, così, quel lato artistico che porta alla costruzione di un linguaggio intimo e personale. Blanco lo ha voluto anche se non lo ha mai realmente cercato: è tutto frutto dell’istinto.
L’iconografia che lo rappresenta è quella di un personaggio irruento, selvaggio, rurale e nudo (sia in senso stretto che figurato). E’ così che si presenta in molti suoi video o in alcuni shooting fotografici ma, per sua stessa ammissione, senza averlo mai premeditato.

Dietro ogni sua decisione c’è solo puro istinto: in termini spiccioli, il cantante fa quello che gli passa per la testa. Sono l’intensità e l’istintività a colpire già dal primo ascolto: si passa dall’irrequietezza adolescenziale vestita con un rock esaltante in “Notti In Bianco” alla contaminazione di un punk urlato in “Paraocchi” fino a giungere alla post-trap di “Figli Di Puttana”. La canzone più sorprendente è però “Pornografia (Bianco Paradiso)”: un altissimo momento punk-rock che segna la vera diversificazione di Blanco da tutti gli altri artisti della sua generazione.
Irruenza, nudità e irrequietezza sono, però, controbilanciati dalla malinconia di “Lucciole” e “Afrodite”: l’energia lascia il posto alla riflessione. La voce diviene il vero strumento primigenio che ha il compito di dominare sugli arrangiamenti di Michelangelo ma con un’unica nota stonata: è carica di un’esasperata interpretazione tendente al naif che porta ad un artificiosa sensazione di ‘fiction’. Naif proprio come l’inizio del tutto: con “Mezz’ora Di Sole”, Blanco ci mostra la vera strada del suo “concept” album svelandoci che il vero leitmotiv è l’evoluzione vocale, fra sussurri, balbettii e grida travolgenti.

E allora non ci resta che goderci queste dodici tracce in attesa di sentire ancora parlare di lui. “Blu Celeste”, primo attualmente nelle classifica Fimi, potrebbe addirittura rivelarsi un album spartiacque: un mezzo attraverso il quale magari si riuscirebbe a superare la forzata rincorsa delle case discografiche alle mode del momento, per giungere ad un punto in cui gli artisti potrebbero essere mossi dalla pura ricerca estetica dello stile piuttosto che dai trend di TikTok.

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