di Marco Buttafuoco
Elina Duni è albanese, ma vive da anni nella Svizzera francese. Parla oltre alla sua lingua madre anche il francese, l’inglese, l’italiano (imparato, come tanti suoi conterranei, alla televisione) e il tedesco. Elina Duni è una nuova europea, una donna che porta nel suo bagaglio lingue e tradizioni musicali diversissime. Nasce come cantante jazz, e continua a esplorare questa musica con varie formazioni. Da un paio di anni ha però iniziato un percorso che la porta mettere in primo piano la sua cifra stilistica più profonda, un approccio melodico, quasi cameristico segnato da una lacerante, drammatica, emotività. Questa ricerca si snoda lungo un repertorio tessuto di canzoni del nostro meridione (notevole la sua versione di amara Terra Mia di Modugno), di hit europei e americani, di canti della tradizione albanese e mitteleuropea, di fado portoghesi, di composizioni proprie. Il disco del 2018 che segnò questa sua svolta si chiamava Partir. Un lavoro nel quale la vocalist albanese suonava anche chitarra e piano, in perfetta solitudine.
Lost Ships, sua nuova uscita, ancora una volta con Ecm, la vede interagire con altri tre musicisti: il chitarrista Rob Luft, autore anche di alcuni originals presenti nel disco, il pianista e percussionista Fred Thomas, e il flicornista Matthieu Michel, che in alcuni brani dialoga splendidamente con la voce della Duni. La nuova situazione musicale non cambia molto tanto il paesaggio sentimentale e artistico. Nella narrazione, articolata in dodici brani, tornano il viaggio, l’assenza, il dolore per la separazione e la necessità, tutta umana, di muoversi e scoprire nuovi orizzonti, lo sguardo doloroso sul mondo circostante.
“Credo – disse in un’intervista rilasciata in occasione del lancio di Partir – che un artista, come qualsiasi essere umano, non possa non interrogarsi sul mondo che lo circonda. Io non riesco a separare l’arte dalla vita, anche da quella sociale, forse anche perché nella mia famiglia c’è una tradizione importante d’impegno. Mio nonno, scrittore, è stato partigiano comunista, ma durante il regime di Enver Hoxha è stato in carcere come dissidente. Mi sembra di vedere, nel mondo attuale, una continuazione degli errori precedenti. Ritornano i nazionalismi di ogni colore e molti non sembrano ricordare sembra ricordare i danni che queste ideologie hanno provocato”.
E anche nella breve presentazione che compare nel libretto del disco la Duni parla di emigrazione, di sradicamento, di ambiente e della cupezza di questi tempi tribolati e solitari. Ma evoca anche atmosfere di leggerezza malinconica, riflessi di luce nelle gocce della pioggia (Lux), valzer meditabondi con gatti randagi (Empy Streets). La parola portoghese saudade si può usare, in questo caso, senza cadere nell’ovvio.
Notevole la rilettura I’m a Fool to Want You (la disperata dichiarazione d’amore di Frank Sinatra ad Ava Gardner). Una vocalist ha davanti, interpretando questo motivo, due modelli ingombranti come quelli di Billie Holiday ed Helen Merrill. Sembra essere quest’ultima , con la sua essenzialità appassionata, a influenzare di più il canto della Duni: e non solo in questa traccia.