Il rocker Pino Scotto: «Sullla pandemia la penso come Guccini, torneremo peggio di prima» | Giornale dello Spettacolo
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Il rocker Pino Scotto: «Sullla pandemia la penso come Guccini, torneremo peggio di prima»

L’irriverente artista torna con un nuovo album, “Cane mangia cane”: «Mi sento un leone in gabbia. Spero nella ripresa dei concerti a dopo l’estate». Il ricordo: «Quella volta, Berlinguer...»

Il rocker Pino Scotto: «Sullla pandemia la penso come Guccini, torneremo peggio di prima»
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29 Aprile 2020 - 12.08


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di Giordano Casiraghi

A due anni dal precedente album, Pino Scotto esce con il nuovo “Dog Eat Dog” (Nadir Music), pubblicato sulle piattaforme digitali e in digital dawnload. L’album, prodotto artisticamente dallo stesso Pino Scotto, è stato mixato e masterizzato da Tommy Talamanca presso i Nadir Music Studios di Genova, mentre la produzione esecutiva è dello stesso Pino Scotto e Federico Gasperi. Alle chitarre e arrangiamenti Steve Volta, al basso Leone Villani Conti (Trick or Treat), alla batteria Federico Paulovich (Destrage) e alle tastiere Mauri Belluzzo (Graham Bonnett, ex Rainbow). Un elenco di musicisti di primo piano, alcuni di questi accompagnano il rocker anche nelle esibizioni live, sempre tante.

Come si sente Pino Scotto in questo periodo di inattività musicale?
Mi sento come un leone in gabbia. Sarei partito per il tour a metà aprile, da Piacenza e poi Genova, avevo una una cinquantina di date già fissate. Mai fatto meno di 130 date in un anno e mezzo. Uno standard che va avanti da anni, da quando ho intrapreso la carriera da solista, perché a ben ricordare con i Vanadium non è che si facevano tanti concerti. Eravamo campioni nella vendita dei dischi, ma di locali adatti per suonare ce n’erano assai pochi. A Milano, a due passi da dove abito, c’era il Rolling Stone che però non era facile da riempire, c’era l’Odissea 2001 e poi spazi più piccoli come il Caramellone al Parco Lambro e il Punto Rosso. Tutti chiusi, ma in compenso sono nati tanti altri posti in varie parti d’Italia.

Un album ogni due anni, una lunga tournée e l’impegno di mettere insieme nuove canzoni per una nuova produzione discografica. Come si concilia?
È questo tipo di vita che mi dà stimoli per le nuove canzoni. Da quando sono in pensione ho tempo per pensare solo alla musica. Stando in giro a suonare arrivano idee nuove da cui partire e soprattutto incontri tante persone. A proposito, per voi che sapete bene chi sia stato e cosa ha rappresentato per l’Italia intera, una volta che suonavo a una Festa dell’Unità a Milano ho incontrato Berlinguer. È capitato che eravamo nei pressi della cucina, prima che iniziasse il concerto, ancora quando suonavo come Pulsar. Ebbene vedo che al tavolo accanto si va a sedere Berlinguer. Potevo non andare a salutarlo? Il minimo, per rispetto, perché di uomini così avrebbe bisogno l’Italia. Persona schietta, uno del popolo, dai suoi occhi traspariva umanità. Mi ha detto che a lui piacevano i Beatles. A chi non piacciono i Beatles, anche se io ho cominciato da Elvis Presley.

Cosa’ha combinato quella volta a Napoli?
Avevo sentito alcune sue canzoni e non ho potuto resistere. Allora si compravano i dischi per poter ascoltare la musica che ti piaceva. Presi dei soldi dai pantaloni di mio padre e sono andato a Napoli nel negozio di dischi in galleria per comprare tutto quello che aveva di Presley. Sapendo che le avrei prese di brutto, mi fermai a dormire per una settimana da mia nonna. Questo non mi ha salvato di prenderle di santa ragione. Cosa ne sanno i ragazzini di oggi che vogliono fare musica? Per un periodo ho dormito nelle macchine abbandonate, poi è arrivata la chiamata al servizio militare, così mi sono trasferito a Milano.

Dalle trasmissioni televisive e dai social lei lancia frecciate colorite contro un certo modo di fare musica e televisione, come quella che dice: «Illuminami! Datti fuoco».
Sì, però non vorrei scomodare nessuno. È successo anche di recente che una mia frase abbia scatenato discussioni con qualche personaggio, sia televisivo che musicale. È che non riesco a farmene una ragione. Combatto la superficialità che vedo nelle trasmissioni televisive, come non capisco il successo di certi personaggi che fanno canzoni. È che siamo il paese più ignorante d’Europa, vinceremo anche la Coppa del Mondo dell’ignoranza e questo si riflette nei gusti della gente.

Come vanno le varie trasmissioni su Rock TV?
Ho dovuto temporaneamente sospenderle, ma c’è un canale youtube con l’archivio di vari spezzoni andati in onda. È che in questo periodo non mi va di partecipare alle varie chiamate di condivisione sui vari canali social. L’ho fatto per Claudio Trotta, manager di concerti, per un circolo Anpi e poco altro. Spero che questo ritiro dalle scene non duri ancora per molto, sarei contento di riprendere a fare concerti dopo l’estate.

Lei pensa che saremo più buoni dopo questa pandemia o la pensa come Guccini?
La penso proprio come Guccini, grande artista, grande quanto Fabrizio De André. Saremo capaci di tornare peggio di prima: è la storia che ce lo dice.

Cosa vuole dire con un titolo come «Dog Eat Dog»?
Quello che intendeva anche Joni Mitchell che aveva titolato così un suo album nel 1985. Voglio dire che il problema siamo noi, non solo la politica, siamo una razza infetta, altro che virus.

C’è il brano «Don’t Waste Your Time» che sembra scritto per i tempi che stiamo vivendo. Che dice?
Apre l’album, è il singolo. L’ho scritto otto mesi fa. Dice: «Pensa se il tuo dio si svegliasse incazzato e decide di presentarti il conto e farti pagare tutto quello che hai fatto, la tua infamia e i tuoi peccati. L’avevo pensato per me, ma vale per tutti.

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