Lo strazio provocato da un terremoto è forse indicibile. Il compositore e film-maker inglese Michael Nyman ha presentato in prima mondiale a Firenze Earthquakes: un’opera fatta di sequenze d’archivio di terremoti proiettate su cinque schermi mentre le sue musiche invadono lo spazio.
In una sequenza iniziale una donna molto anziana piange disperata a Kobe in Giappone mentre si sente cantare una cover di No Woman No Cry di Bob Marley. Scorrono immagini sconvolgenti di distruzioni in Armenia, fotogrammi dell’Aquila devastata dopo il 9 aprile 2009, foto di contadini del Belice colpito nel 1968 che manifestano contro l’inerzia dello Stato e denunciano la mancanza di lavoro nel sud, sequenze da un documentario del regista russo Sergej Eisenstein in Messico: il film-concerto aggancia più volte la tragedia della terra sconvolta alla povertà ed è stato proiettato sabato 7 in un salone della Manifattura Tabacchi, edificio razionalista degli anni ‘30 in via di riconversione.
Nyman, compositore arrivato alla celebrità mondiale con la colonna sonora di Lezioni di piano, con il suo film – installazione ha aperto l’undicesimo festival “Firenze suona contemporanea 2019” diretto da Andrea Cavallari e in corso fino al 27 settembre in più sedi. Earthquakes rimane fino al 14 settembre, è una co-produzione con la Manifattura Tabacchi all’interno del festival “God s green”: poi andrà in una versione eventualmente aggiornata al Milano Film Festival (4-10 ottobre) per i dieci anni dal terremoto dell’Aquila dove potrebbe venire replicato.
Nyman, quando in “Earthquakes” inquadra la donna che piange vuole interpretare il dolore provocato dai terremoti?
È molto difficile connettersi con un terremoto o con la guerra o con ogni tipo di sofferenza umana senza farsi coinvolgere dal dolore. Nel 1995 ci fu il terremoto di Kobe in Giappone dove avevo suonato nel 1993: ho pensato che qualcuno del pubblico non potrebbe essere più vivo perché è morto nel terremoto e ci tornai per fare un documentario. Organizzai un concerto per raccogliere fondi a Okinawa dove registrammo la performance di un gruppo vocale femminile chiamato Nēnēs e una canzone era No Woman No Cry. Prima di tutto ho voluto rappresentare il terremoto di Kobe e, poiché la canzone è così famosa, ho deciso di iniziare il film con le cantanti senza averlo pianificato e ho messo insieme l’immagine della donna che piange e il senso di quella musica. Il processo per creare un film è molto simile a quello per comporre musica: fai qualcosa che influenza il passo successivo. Infatti non pianifico i miei film, riprendo eventi a me sconosciuti prima che avvengano, ma con materiale documentaristico su un terremoto la scelta è molto più consapevole. Prendo comunque alcune decisioni in modo fortuito e così è accaduto con No Woman No Cry e la donna che piange. E ciò influenza la struttura e il contenuto della sequenza visiva.
Quando compone su questi temi ha la sensazione di collegarsi a un sentire collettivo, sociale, più che su un piano puramente individuale?
Dato che appartengo alla razza umana e, fortunatamente o sfortunatamente, vivo nella società piena di disastri naturali e di disastri creati in ogni paese del mondo, le mie esperienze non differiscono da quelle degli altri. Soltanto mi trovo nella posizione fortunata di fare film come questo che crea situazioni in cui si pongono proprio questi interrogativi. Non ho le risposte. Questo film sui terremoti detto brutalmente è una sorta di compilation, ma non è una lista, è strutturato come una composizione musicale: a volte nasce da scelte deliberate, a volte da scelte che derivano dalla decisione presa dieci minuti prima.
Perché più schermi?
Per più ragioni. Una è rendere il lavoro accessibile a tutto il pubblico. Per me però è anche una sorta di proiezione privata ma pubblica e multipla al tempo stesso in modo da vedere il montaggio non da un piccolo schermo televisivo o da un laptop ma mentre il film viene eseguito: c’è una grossa differenza. È come quando senti un brano musicale che hai composto dal vivo in una sala da concerto: è un’esperienza fisica, emotiva e concettuale, è la stessa musica, è scritta, ma è eseguita da donne e uomini. Penso alla prima sinfonia di Sibelius o alla prima di Mahler che ho sentito dal vivo nella sala da concerti di Città del Messico: la reazione personale, fisica, emotiva, è molto diversa. Poiché sono un musicista di professione ascolto la musica in modo molto analitico, posso seguire la logica della composizione. Ma l’impatto emotivo di un’esecuzione dal vivo in un particolare momento davanti a un particolare gruppo di persone è incredibilmente complesso.
Porterà Earthquakes all’Aquila? Il terremoto è un argomento molto vivo e sentito, nella città abruzzese.
Nel 2017 venni coinvolto dalla Fondazione Rava e per fare un concerto all’Unicredit di Milano per raccogliere fondi per ricostruire scuole nei centri del Centro Italia colpiti dal terremoto del 2016. Sono legato in due modi ai terremoti. Uno è la mia esperienza personale vissuta a Città del Messico, l’altro è quando qualcuno tramite la mia musica raccoglie fondi: questa è l’origine del film su Kobe, quel No Woman No Cry era parte di un progetto per raccogliere fondi.
Passando a un terremoto politico in corso, cosa pensa della Brexit?
Non ne voglio parlare, non parlo di politica, e questa è già una dichiarazione politica: sorry, è troppo complicato, già dobbiamo convivere con questo argomento ogni giorno.