L’Accademia di Santa Cecilia a Roma con il suo direttore sir Antonio Pappano dedica un consistente omaggio per i 100 anni dalla nascita (il 25 agosto 1918) a Leonard Bernstein, direttore d’orchestra, compositore di capolavori come “West Side Story”, divulgatore sopraffino, amante dell’insegnamento ai giovani.
Pappano lo affronta in due concerti: il primo inizia stasera, giovedì 15, e ha due repliche; l’altro si tiene il 22 febbraio anche questo con due repliche. I concerti sono dedicati alle sue tre sinfonie e poi, a ottobre, l’apertura della stagione 2018/19 con ”West Side Story” in forma di concerto. Il secondo concerto, quello del 22 febbraio, prevede, con il concerto per violino di Brahms (che vede, dopo un’assenza di 12 anni per malattia, il ritorno ai concerti di Kyung Wha Chung), la terza sinfonia Kaddish di Bernstein. ”Intitolata alla preghiera ebraica che accompagna i defunti – sottolinea Pappano – fu scritta dopo l’assassinio di John Kennedy. Un pezzo forte e conturbante, una sorta di grido a Dio cui si chiede perché sia così duro con gli uomini, ma con dentro incredibile vitalità”. Alle iniziative dà il suo appoggio l’Ambasciata Americana a Roma.
Bernstein, americano ebreo di origine polacca, debuttò a Santa Cecilia il 5 dicembre 1948: aveva trent’anni. Fino al 1989 salirà 22 volte sul podio dell’Orchestra dell’Accademia. Resta celebre una “Boheme” in forma di concerto del 1987, registrata su disco. “Rigore musicale, calore, estro, fantasia, generosità artistica, professionale e umana”, lo descrive l’istituto guidato dal soprintendente Michele Dall’Ongaro.
Pappano ricorda come spesso di Bernstein si dica che è ”troppo”, intendendo principalmente ”troppo sentimentale” con una connotazione non positiva. Invece ”non è assolutamente così e la sua è una musica non troppo sentimentale, ma piena di sentimento in modo certo diverso da Mahler col suo nevrotico scavo in profondità, ma con una forte, intima vena teatrale cui Bernstein diceva di non saper resistere e una gran voglia di cantare. Quanto ai suoi meccanismi compositivi sono chiari i suoi debiti con Shostakovich, a cominciare dall’uso degli intervalli, e l’eco del pathos di Mahler e di tanta altra musica di cui era incredibile conoscitore”.
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