di Daniela Amenta
Beck Hansen, dunque. Americano di Los Angeles, 47 anni, tredici album. Il Re Mida di quello che un tempo era il rock alternativo che poi è diventato mainstream, ovvero un marchio di fabbrica, il suo. Uno dei pochi artisti in grado di sintetitizzare stili, citarli a piene mani rimanendo autentico e unico. Il biondino che ha saputo, sa cavalcare il mood tra Novecento e Terzo Millenno, giocare a nascondino con i suoni, trasformare la musica in materia viva e soprattutto azzeccare melodie irresistibili.
Beck probabilmente attraversa in questo momento uno stato di grazia o profonda allegria, avrà voglia di ballare, chissà. Perché Colors, il suo ultimo lavoro targato Capitol, è un inno al divertimento, alla spensieratezza. Ci rispedisce tutti nelle dance hall degli anni Ottanta, ci fa tornare ragazzini. Un affresco di quel tempo riletto nel 2017. Mica facile riassumere un decennio, uno stato dell’animo, far salire l’effemiro in Paradiso. Così, quattro anni dopo il brumoso e intensissimo Morning Phase dove rendeva omaggio alla West Coast acustica, all’irripetibile stagione di Simon & Garfunkel e mandava baci a Nick Drake e al David Crosby di If I only could remember my name, arriva questo disco così colorato, apparentemente leggerissimo, brillante e meravigliosa celebrazione del Pop.
Dieci pezzi, ognuno è un singolo. Ci troverete, come sempre, milioni di riferimenti: l’elettronica morbida e i down tempo, i Beatles, i coretti dei Beach Boys e delle ragazze dei B 52’s nella deliziosa I’m so free, i Level 42, i Pixies e Frank Black gli Scritti Politti più commerciali, perfino un accenno ai Police di Synchronicity in No Distraction. E poi l’inserto rap giusto, la schitarrata che si incolla nei timpani, il motivetto per cui mai più senza, il lento amorevole che strappa il cuore (Fix me).
Ma nonostante il patchwork, non c’è un pezzo che non sia roba di Beck. Perché lui è così. Prende e trasforma, attraverso un procedimento alchemico. Lo ha fatto con il lo-fi di Mellow Gold, con l’ariosa bellezza di Odelay, con la psichedelia country di Mutations, con le obliquità più trasversali di Midnite Vultures, con la malinconia di Sea Change e il composito, orchestrale Modern Guilty. Ogni volta Beck è una sorpresa, un Bignami della musica di ieri che però guarda al futuro.
Let’s Dance ci dice quest’anno. Battiamo le mani e buttiamoci in pista. Sarà una notte infinita, magnifica.