I quattro di Santa Cecilia | Giornale dello Spettacolo
Top

I quattro di Santa Cecilia

Il Cavalier Serpente torna a colpire. Nel mirino: Luglio Suona bene 2016, l'anastilosi del Tempio della Pace, il recupero di Palmira. [Stefano Torossi]

I quattro di Santa Cecilia
Preroll

GdS Modifica articolo

4 Aprile 2016 - 11.32


ATF
di Stefano Torossi

Potrebbe essere un bel titolo per un western. Giustizieri misteriosi? Cacciatori di taglie? Ladri di cavalli? No. Si tratta di quattro seri signori che ci hanno ricevuti nella Sala delle Bandiere in Campidoglio per la conferenza stampa di presentazione del progetto “Luglio Suona bene 2016” al Parco della Musica.
L’amministratore delegato José Dosal, il pittoresco, con il suo italiano spagnoleggiante alla Arbore, ha dichiarato che voleva “sopralinear el programa por el duomiladiciaseis”.
Il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca, il soporifero, ha trovato, inconsuete nel suo parlare moscio, parole forti per sottolineare che l’unica salvezza dal terrorismo e dal sangue è la cultura.
Il presidente Aurelio Regina, il romantico, ha paragonato la cavea a un salotto a cielo aperto sotto un milione di stelle.
Il sovrintendente Michele dall’Ongaro, il faceto, svelando il trucco per riempire qualsiasi sala “Basta programmare i Carmina Burana”, ha annunciato che quest’anno il brano di Orff sarà affian-cato da una nuovissima composizione di Nicola Piovani, intitolata “Carme”, da Catullo.
Il nome di Piovani ci porta agli altri quattro presenti in sala, seduti vicini vicini su quattro seg-gioline: noi. Persone individualmente serissime, ma insieme ci siamo trovati a fare i pierini ridac-chiando e dandoci di gomito proprio sotto il naso dei quattro seri.
Eccoci: Nicola Piovani musicista sopraffino e premio Oscar; Claudio Strinati, onnisciente stre-gone della critica d’arte; Adriano Mazzoletti, profondissimo conoscitore di jazz e autore di una fondamentale enciclopedia sull’argomento; e il vostro indegno Cavalier Serpente. Quattro discoli che per quella mezz’ora hanno dimenticato i tre secoli tondi delle loro età sommate, si sono divertiti a giocare, e sono anche riusciti a non farsi mettere in castigo dai grandi. Uno spasso.

La giornata era splendente e calda. Appena usciti da quella meraviglia che è il municipio di Roma, cosa fare se non scendere al livello del Foro e andare a controllare l’effetto della tanto annunciata e finalmente completata anastilosi?

Detto e fatto. In barba a quelli che sostengono la teoria di conservare i ruderi nella condizione in cui li abbiamo trovati, noi siamo del parere che una colonna di granito finché sta in terra è solo un pezzo di pietra. Rialzata, anche se è fatta di frammenti ricomposti, è di nuovo una colonna.

Che, insieme all’arco, è la più clamorosa invenzione architettonica dell’umanità. E la presenza di slanci verticali in un campo di rovine, nobilita il tutto e gli ridà vita.

Perciò, benissimo; le sette colonne rialzate del Tempio della Pace fanno un figurone e ci raccontano molto di più di quando se ne stavano a pezzi nell’erba.

Ed è proprio questo concetto che rende frizzanti i progetti di salvataggio di Palmira, appena strappata alle mani insanguinate di quegli animali.
La prima tesi, quella dei conservatori, mette subito di fronte a una scelta inevitabilmente con-troversa. Riportare i ruderi a come eravamo abituati a vederli fino all’altro ieri, ricomposti sulla base di antichi racconti, dopo secoli di abbandono?
Oppure lasciarli nello stato in cui li ha ridotti la violenza contemporanea, il prima e il dopo te-stimoniati, stavolta, da infiniti documenti, comprese le foto di noi turisti di passaggio?
L’altra, che, come si sarà capito ci trova entusiasticamente favorevoli, permetterebbe invece di approfittare dei risultati della stupida violenza manifestata dagli animali di cui sopra per rimettere in piedi tutto il possibile, approfittando di perni al tungsteno e resine epossidiche, trucchi moderni che riescono a essere efficaci e nello stesso tempo del tutto invisibili dentro le pietre millennarie.

Il ritorno a casa nel primo pomeriggio, sempre nel sole scintillante e con gli occhi pieni di quei rocchi di granito raddrizzati, ci ha portati dritti in prima linea, sotto il fuoco nemico, neanche fossimo noi le truppe che hanno liberato la città della regina Zenobia.
Esagerati? Provate ad attraversare a piedi Piazza Venezia. Fondo stradale squarciato da trincee, numerose trappole destinate ad azzoppare i fanti nascoste fra i sampietrini, traffico di mezzi pesanti e leggeri lanciati al massimo, neanche l’ombra di un attraversamento protetto (leggi semaforo).
Forse il deserto siriano è un posto più sicuro.

P.S. Nell’immenso spazio vuoto e un po’ squallido, anche se firmato Piacentini, del Cristo Re abbiamo partecipato sabato, all’infinita tristezza di un funerale in bianco e nero: quello del grande Giorgio Calabrese (Arrivederci, E se domani.). Pochi i presenti, per di più smarriti nell’immensità della chiesa.
Allora, le ipotesi. Sbagliato morire troppo tardi: a 86 anni i tuoi contemporanei se ne sono già andati quasi tutti, e gli altri non ti ricordano. Sbagliato fare il funerale di sabato, di un bel sabato di primavera: quasi tutti preferiranno andare al mare. Sbagliato scegliere una chiesa troppo grande: per quanta gente ci sia, sembrerà sempre vuota. Forse è sbagliato anche avvertire delle esequie. Una cerimonia discreta e lontana avrebbe risolto elegantemente il problema.

Lasciandoci il ricordo.

——————————————

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: [url”www.ilcavalierserpente.it “]www.ilcavalierserpente.it [/url]

Native

Articoli correlati