di Margherita Ingoglia
Tre uomini, tre poeti, tre artisti – Umberto Saba, Fabrizio De Andrè, Gabriel Garcia Marquez – cos’hanno in comune? Prostitute, borgate e libertà. I quartieri e la vita descritta dai tre artisti, da negletti e trascurati, come una catarsi vitale diventano spazi di energia e consacrazione. In tre modi diversi, in tre luoghi diversi, tre artisti diversi, con le parole, convertono il peccato in purificazione.
“Qui degli umili sento in compagnia il pensiero farsi più puro dove più turpe e’ la via”. Con questi versi Umberto Saba, poeta triestino, conclude la poesia
“Città vecchia”. In questa lirica del suo Canzoniere ci stanno prostitute e marinai che percorrono quella che lui definisce l'”oscura via”: lì, scopre i rioni del “detrito” che mormorano di tremito e fremito; ode il mormorio di “tutte creature della vita e del dolore”; e, in quel germogliare furtivo di esistenza incontaminata: “Qui prostituta e marinaio, il vecchio che bestemmia, la femmina che bega, il dragone che siede alla bottega del friggitore, la tumultuante giovane impazzita d’amore”, Saba, riscopre la realizzazione di piaceri umili, il ribollire di peccati lussuriosi e, il sapore sulfureo della libertà.
Ispirato dalla lirica del poeta triestino, ben cinquantatré anni dopo l’uscita della seconda edizione del Canzoniere, Fabrizio De Andre’, cantautore genovese, ne compone una canzone dal titolo “La città vecchia”. Come nella poesia di Saba, anche i sobborghi deandreiani si popolano di donnacce, “pensionati mezzi avvelenati”, assassini, ladri e perfino il “tipo strano”. E, nel silenzio della notte, tra le brame di quei nidi umidi e vezzosi, avvelenati dall’odore del “vino forte” vediamo arrivare Lui, il vecchio professore. –Ma chi è il professore di De Andre’? che sia un riferimento a Saba? – Cosa il professore cerchi in quelle strade dimenticate da dio, certamente non è l’ispirazione. “Quella che di giorno chiami con disprezzo specie di troia / quella che di notte stabilisce il prezzo della tua gioia” – frase della canzone poi cambiata in “quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie /quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie”. Tra i quartieri del porto dì Genova, il professore di De Andre’ raccoglie i frammenti della sua debolezza in fondo ad una libido densa, selvaggia, proibita. Poi la scoperta di questo spazio privo di morale ma in cui il professore può forse, sentirsi finalmente libero.
“La morale e’ una questione di tempo” lo diceva anche quel professore –giornalista, protagonista del libro di Gabriel Garcia Marquez “Memorie delle mie puttane tristi”.
Restio alla vita mondana, il professore-giornalista, descritto dallo scrittore colombiano, come il professore di De Andre’, serba la lussuriosa giocosità notturna, a lenzuola disfatte. Lontano dai rioni patrizi, in sobborghi appestati dalla cattiva nomea, il protagonista senzanome di Marquez, nel suo 90esimo compleanno, decide di assolvere un ultimo desiderio carnale: fare l’amore con una giovane vergine. Deciso a peccare con il suo vizio, si rivolge al bordello di fiducia diretto dalla veterana Rosa Cabarcas che cercherà in tutti i modi di accontentare il devoto cliente. Sarà una giovane quattordicenne, anch’ella senzanome, poi ribattezzata dal suo amante Degaldina, che scongelerà il sogno dell’uomo. Durante tutte le notti in cui i due si incontreranno in quella stanza del postribolo, la giovane senzanome si farà trovare distesa sul letto: dormiente, nuda e sacrilega come una Olympia di Manet. La sua pelle, irrorata da fioca luce, si offrirà a lui imperlata di sudore dolce con l’incanto violento e liliale, quasi fosse il profumo di cibo buono che coglie di sorpresa le narici, in un giorno di quaresima; ma del quale, il professore- giornalista senzanome non assaporerà che il balsamo solingo dello spirito. Un viaggio, quello del professore, nella profonda solitudine, nei ricordi della sua vita, fatta di sesso masticato e senza amore; di notturni e sonate di Chopin; di libri e recensioni probabilmente neppure tanto gloriose; scarsi amici; una casa ereditata dalla madre; una fama mediocre e null’altro. Eppure in quei meandri dispensati dai raggi benedetti, in quei siti emarginati dalla gente a modo, guardando tutte le notti quella giovane donna, quella prostituta vergine, il professore- giornalista senzanome scoprì la gelosia e il senso autentico della parola Amore.
Tre uomini, tre poeti, tre artisti, in quei luoghi esclusi dal buon nome e dalla redenzione, laddove tutto era concesso, hanno sentito “il pensiero farsi più puro” (U. Saba), il peccato diventare gentile “…l’amore mi aveva insegnato troppo tardi che ci si rassetta per qualcuno… Non morire senza aver provato la meraviglia di scopare con amore.” (G. G. Marquez), e ad osservare il mondo, senza pregiudizi.
“… Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo”.
Fabrizio De Andrè “La città vecchia”