Chinatown: la storia di un capolavoro e il tramonto della New Hollywood in un libro avvincente | Giornale dello Spettacolo
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Chinatown: la storia di un capolavoro e il tramonto della New Hollywood in un libro avvincente

Attorno alle vicende di questo film cult di Hollywood si snoda un libro interessante e avvincente, Il grande addio, di Sam Wasson (pp. 395, € 20, traduzione di Gianluca Testani).

Chinatown: la storia di un capolavoro e il tramonto della New Hollywood in un libro avvincente
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

3 Giugno 2021 - 12.18


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Metti un film che ha segnato un’epoca. Metti il suo geniale regista. Metti il fascinoso protagonista. Metti lo sceneggiatore premiato con l’Oscar. Metti il visionario produttore. Metti insieme questi elementi, storicizzali e contestualizzali in un ambiente,narrali in uno stile elegante e avrai una storia imperdibile.

Il film è Chinatown, il regista è Roman Polanski, l’attore è Jack Nicholson, lo sceneggiatore Robert Towne, il produttore Robert Evans. Attorno alle vicende di questo poker d’assi legati da profonda amicizia si snoda un libro interessante e avvincente, Il grande addio, di Sam Wasson (pp. 395, € 20, traduzione di Gianluca Testani). Wasson è ben più che un apprezzato chronicler del folklore hollywoodiano: è una penna raffinata, abile a narrarele biografie di grandi artisti e il making di film memorabili, e anche stavolta ha centrato il bersaglio.

La storia del film e dei suoi protagonisti, ricostruita con l’ausilio di decine di preziose testimonianze raccolte dall’autore, è presentata con piglio documentaristico, i caratteri sono resi in sapidi tratti e ammirevole penetrazione psicologica: il geniale Polanski col suo tragico passato di scampato allo sterminio nazista, reduce dal grande successo di Rosemary’s Baby e alle prese col lutto scioccante per la morte della moglie Sharon Tate,massacrata dalla follia di Charles Manson e della sua “Famiglia”in uno degli episodi più foschi della cronaca americana;l’incontenibile Jack Nicholson, che aveva rivelato al mondo il suo immenso talento nell’iconica interpretazione in Easy Rider e fresco dell’esperienza di scrittura e di regia (Yellow 33),finalmente impegnato nel ruolo di protagonista in una sceneggiatura tagliata appositamente sulla sua personalità istrionica; Robert Towne, l’angosciato e insicuro sceneggiatore che sognava di fare il regista e di scrivere la storia di una città, Los Angeles, trasfigurandola nella sua tormentata esistenza; Robert Evans, il visionario produttore che con Love Story aveva salvato un’agonizzante Paramount, cui diede una memorabile impronta artistica supportando film che avrebbero segnato un’epoca, prima del triste declino: tutti riuniti nella principesca residenza di Evans, Woodland, “il centro della nostra creatività”,come la considerava Nicholson, dove, tra scenografiche fontane, piscine animate da ragazze mozzafiato in bikini, affollati party notturni e una tecnologica sala di proiezione, si faceva la storia del cinema agli albori degli anni Settanta, quando la controcultura e l’atmosfera hippie avevano varcato il confine degli studiosinnescando una straordinaria stagione creativa all’insegna di novità stilistiche, contenutistiche e produttive sconosciute adun’industria tradizionalmente molto ingessata. Nel mezzo, in un intrico di storie d’amore e d’erotismo, il glamour, l’eccitazione e il divertimento hollywoodiano, con leggendari registi, attrici e attori celebri e meno celebri, tecnici talentuosi, musicisti affermati e alle prime armi, produttori avidi e invidiosi, astuti agenti e scaltri avvocati, e la nuova regina appena sbarcata e subito affermatasi nel dorato e ipocrita mondo di Hollywood la cocaina.

Nella sapiente tessitura di racconti, resi ancor più seducentidall’alternanza dei personaggi che assumono la visione degli eventi, innestati nella storia d’una città, Los Angeles, ciò che più affascina di questo libro è il tema della straordinaria amicizia che legava i suoi protagonisti, la condivisione d’un sogno: fondere carriere, memorie, visioni della realtà, esigenze personali ed estetiche in un’opera firmata a quattro mani che avrebbe compiutamente espresso quel fortissimo legame; e l’aver inseritola parabola di quella amicizia in un irripetibile momento di passaggio epocale: nel compimento del sogno, tra difficoltà e scontri di ogni genere, comincia la sua mesta fine, riflessastoricamente nella conclusione dell’onda innovativa degli anni Sessanta e l’inizio di un nuovo, arido modo di intendere le relazioni personali e i processi produttivi, con l’incontrastato affermarsi della mercificazione dell’arte e dell’umano e la totale sottomissione di Hollywood al cinema d’evasione.

Tra suggestive digressioni ed excursus storici, sul filodell’inquietante mescolarsi di realtà e fiction (le riprese del film contemporanee alle udienze dell’affare Watergate, altra vicenda che mutò per sempre la percezione che gli americani hanno di sé e della loro storia), l’autore riflette su temi quali la linea di demarcazione tra ego e arte, sul misterioso spazio della creatività, sulla dicotomia tra sfera lavorativa e affettiva, e Chinatown viene ad incarnare una “metafora americana”, con la fine del sogno capitalistico di operosità e realizzazione di sé che aveva fatto idealmente di quel Paese un unicum.

La parte centrale del libro è quindi il racconto, denso di aneddoti e di informazioni (si spiega, ad esempio, cosa significa strutturare un’opera cinematografica su un’idea creativa, amalgamando tutte le componenti artistiche: regia, sceneggiatura, recitazione, scenografie, costumi, fotografia, montaggio, colonna sonora),della realizzazione di un film entrato nell’immaginario collettivo,ma la storia non finisce qui. Wasson segue per un tratto le vicende dei suoi protagonisti, i progetti di realizzare una trilogia, seguendo la figura del detective J. J. Gittes e l’evoluzione di Los Angeles nell’arco di un ventennio, dal 1937 al 1959. Era un modo, soprattutto per Nicholson (sempre più ricco e celebrato, ma il cui successo aveva in qualche modo desertificato un certo modo di intendere le relazioni umane), “per riparare delle amicizie che adesso sembravano irreparabili”: Polanski era fuggito dall’America (e non vi avrebbe fatto più ritorno) in seguito alla torbida vicenda giudiziaria dell’abuso di una tredicenne; Towneaveva divorziato da Julia Payne (ai cui ricordi il testo deve molto),ed era sempre più perso nella dipendenza dalla cocaina e inuninterminabile lite legale per l’affidamento della figlia; Robert Evans, anch’egli cocainomane e affettivamente devastato, si era imbarcato in produzioni di scarso successo e la sua stella era tramontata. Soltanto dopo un quarto di secolo si realizzerà il seguito di Chinatown, Il grande inganno, con la regia dello stesso Nicholson, la sceneggiatura di Towne e la produzione di Evans. Ma non c’era più Polanski a strutturare una sceneggiatura zoppicante, a dare forza narrativa alle immagini e universalità al significato, con il gruppo di artisti insolitamente sofisticati che lo aveva affiancato nelle riprese di Chinatown: la fotografia di John Alonzo, il montaggio di Sam O’Steen, la scenografia di Richard Sylbert, i costumi di Anthea Sylbert, la musica di Jerry Goldsmith; ed erano tutti invecchiati, stanchi e disillusi, la realtà, il mondoerano inesorabilmente mutati. Nessuno ne rimase soddisfatto, el’idea di un terzo capitolo verrà accantonata.

E così, con un’intensa vena nostalgica per un’era ormai scomparsa, “l’ultima fioritura di un giardino cinematografico curato con passione da dirigenti liberi e da un tacito accordo tra il pubblico e i cineasti”, si chiude un racconto che reca in sé le suggestioni di una sceneggiatura scintillante come il sole di Hollywood. Eppure, a Woodland ci sono ancora le rose, e i film realizzati sono la prova tangibile di un sogno che s’avvera, condensata nella memorabile scena finale di Chinatown, dovuta al genio di Polanski: dopo le tragiche e torbide vicende di potere e diviolenza, col sottofondo d’un tema musicale struggente, la macchina da presa si libra lentamente, a comunicare ascesa, redenzione, grazia. Come a ricordarci che, per fortuna, c’è l’arte a dare senso e purezza alla vita.

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