Itzik Galili: parla il coreografo a Torino con Quasi una fantasia | Giornale dello Spettacolo
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Itzik Galili: parla il coreografo a Torino con Quasi una fantasia

Lo spettacolo offre il 20 e 21 febbraio 2015 due lavori del coreografo israeliano 'Fragile' e 'Until.With/Out.Enought' reinterpretati dal Balletto Teatro di Torino.

Itzik Galili: parla il coreografo a Torino con Quasi una fantasia
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20 Febbraio 2015 - 11.23


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di Chiara D’Ambros

La compagnia Balletto di Torino porta in scena il 20 e il 21 febbraio 2015 alla Lavanderia a vapore due coreografie del repertorio di Itzik Galili, coreografo di consolidata fama internazionale. Il titolo della serata “Quasi una Fantasia” offre in esclusiva per l’Italia i due storici lavori del coreografo israeliano “Fragile” e “Until.With/Out.Enought” reinterpretati dai danzatori della compagnia piemontese, Marco De Alteriis, Kristin Furnes, Daniel Flores Pardo, Manolo Perazzi, Silvia Sisto, Viola Scaglione. Come ha spiegato la direttrice del Balletto Teatro di Torino, Loredana Furno, questa produzione prosegue un percorso di rinnovamento di una compagnia nata negli anni ’20, che negli ultimi 12 anni è stata guidata da un unico artista residente ma che oggi vuole aprirsi a nuovi stimoli creativi dando spazio sia ad artisti noti e di grande prestigio, sia a giovani coreografi (la precedente data è stata Vapore Corporeo, di Antonello Tudisco) che necessitano di spazi per affermarsi, spazi – ha commentato la stessa Furno – non esistenti o troppo spesso oggi occupati da un sottobosco di danzatori tanto da far connotare Torino come città danzante per la quantità di proposte ma cui poi non corrisponde altrettanta qualità.
Di indubbia calibro, invece, il lavoro e la personalità di Itzik Galili che abbiamo incontrato a ridosso di questo suo primo debutto italiano.

Per la prima volta a Torino con due sue storiche creazioni?

Si, attualmente sto lavorando su due pezzi differenti, uno è un duetto dal titolo “Fragile”. Questo pezzo è stato creato nel 1991, e dopo che ho visto i danzatori ho pensato di cambiarlo e farlo danzare sulle punte, non è mai stato così. È un lavoro molto specifico, e parla di un uomo che se ne va e una donna che tenta di riconquistarlo, ma l’interpretazione dipende dal punto di vista del pubblico, perché in alcuni momenti c’è un ribaltamento del tutto. I ballerini non rivelano mai la loro faccia al pubblico, nessuno sa che aspetto hanno. Questo porta una tensione e un’intenzione molto specifiche. Il secondo lavoro si chiama “Until with/out, enought” in altre parole “vai avanti ma non ti fermi mai”, non arrivi mai al punto di dire “è abbastanza, mi fermo”, “abbastanza” diventa una parola che non esiste. Questi pezzi storicamente sono stati creati uno dopo l’altro, e si sono reciprocamente influenzati, quindi hanno segnato una sorta di linea. “Until with/out, enought” originariamente è un pezzo per sette danzatori ma noi l’abbiamo adattato per 6, qui a Torino. Sono stato molto impressionato da questi danzatori. E non sto parlando della loro qualità tecnica ma della loro personalità. Hanno forti personalità, sono ben saldi, con i piedi per terra, con la testa sulle spalle, quindi è davvero bello essere qui a lavorare con loro, e sarei molto, molto felice di ritornare. Sto vivendo davvero una bella esperienza.

Hai lavorato con molte compagnie differenti, qual è la sfida di lavorare con una nuova compagnia come il Balletto di Torino, su un pezzo del passato?

Come potrei dire? Posso usare un modo divertente per spiegarlo: “è un modo legittimo di avere diversi storie d’amore”. C’è sempre una sfida. Da un certo punto di vista sono molto preoccupato e attento a come il mio lavoro viene rappresentato, deformato, come viene trasmesso, ma allo stesso tempo sono molto attento a come io stesso, nel tempo, deformo e trasmetto un mio stesso lavoro. Per fare questo, per poter cambiare punto di vista, devo permettermi di lavorare con compagnie di livello molto differente tra loro, per poter capire il mio benessere, la mia modalità di stare bene.

In questa esperienza in particolare c’è qualcosa che hai compreso o scoperto, lavorando con questi danzatori?

No, sono ancora nel processo e spesso è molto difficile metterci il dito in questo tipo di esperienze, trovare le parole per “spiegare”. Spesso è solo una sensazione, una cosa istintiva. Penso che la stragrande maggioranza della società reagisce e agisce attraverso le proprie emozioni. Posso usare una metafora per spiegare questo, una volta una persona decise di comprare una macchina, fece tre mesi di ricerche per comprare la macchina e alla fine comprò una FIAT. Quindi le persone attorno hanno osservato: “Ci hai messo 3 mesi per decidere che macchina comprare e alla fine hai comprato una FIAT?!” E l’uomo ha risposto: “Si è quello che mi sono sentito di fare”. Ha appunto fatto quello che si è sentito di fare. Come si può descrivere questa sensazione, come puoi spiegare che la macchina giusta per lui era la Fiat. Anche il più fine pensatore o filoso deve essere motivato, e inizia ad essere motivato attraverso le proprie emozioni. Non si possono descrivere letteralmente le emozioni, si può solo portare una descrizione analitica di un qualcosa, descrivere cosa succede da A a B e osservare come tutto questo sia in relazione con le emozioni. Quindi, in questo momento A per me è molto difficile spiegare dove sono/cosa sento e comunque, anche più in là nel tempo forse non sarò in grado di esplicitarlo. Quello che posso dire con sicurezza è che il viaggio è davvero meraviglioso. Lo sto gradendo molto.

Quello di cui stai parlando ha molto a che fare con la relazione mente-corpo, e il corpo da questo punto di vista offre una grande possibilità di espressione. Cosa ritieni possa esprimere il linguaggio del corpo se si può dire a parole?

Tre settimane fa ero a Tel Aviv e ho ricevuto una telefonata da Roberto Bolle. Mi ha chiesto se potevo venire a lavorare con lui. Gli ho detto che ero occupato, quindi è venuto lui e abbiamo lavorato per una settimana. Se prendi lui e la sua abilità di ballerino e lo metti a confronto con un ballerino qui, c’è un’enorme differenza, è totalmente un mondo diverso. C’è differenza tra Parigi e Mozambico, sono due città differenti, due diversi luoghi nel mondo, non puoi metterli a confronto ma quello che puoi fare è apprezzare e godere di ciascun del luogo in sé, per quello che è. Credo profondamente nel fatto di aprire la propria mente e gioire del momento in sé. Non porterò mai la mia fama, il mio nome nella tomba. Se la mia fama e il mio nome resteranno dopo di me, resteranno dopo di me, non cambia lo stato attuale della mia mente. Capisci cosa intendo? Quindi per me, rispetto alla questione del linguaggio del corpo di un’altra persona, quello che è davvero importante è la mente. E’ la mente che procura al corpo le abilità che gli permettono di essere quello che è. Questo è ciò che ci entusiasma, che comporta il nostro individuale piacere o dis-piacere qualcun altro. Facciamo le nostre scelte su queste basi. Se sei una persona che scrive, per esempio, potresti innamorarti di un scrittore che scrive diversamente da te o di un altro artista ma c’è una connessione tra quello che ti piace, che immagini, che desideri a livello intellettuale e qualcosa di sconosciuto che necessita di essere colpito. Qualche giorno fa un giornalista mi ha chiesto: “Cosa deve avere un coreografo? Qual è la formula per il successo?” Io gli ho risposto che ci sono così tante risposte per una domanda così. Qualcuno potrebbe dire “un lavoro originale”, ma è così difficile definire cosa sia “originale”. È originale qualcosa che non è mai stato fatto prima? Se fosse qualcosa che non è mai stato fatto prima non ci orienteremmo in ciò, non troveremo alcuna corrispondenza. Quindi, ho detto “è come avere un bambino, partorirlo, tenerlo in una stanza tutta bianca e lasciarlo uscire quanto ha 21 anni. Il mondo per la prima volta vede questo bambino e lui forse non regge, può collassare perché non ha strumenti, non ha elementi, niente corrisponde con quello che ha esperito fino a quel momento, quindi, per esempio, in questo caso avresti creato una “morte originale”.” Io principalmente cerco di stare ed esserci con le persone, con i danzatori in particolare e cerco di dire loro di far uscire fuori dalla loro testa di danzatori tutti i giudizi: “non vado, non vado bene, mi sento in colpa”. Questo per me è davvero veleno che è stato assorbito da loro e quindi cerco di farglielo espellere, di eliminarlo.

Pensi che quest’arte in questo momento particolare abbia un ruolo importante?

Visto che questa intervista è per lettori italiani, ti darò una risposta rivolta ai lettori italiani.
Credo che la danza abbia un momento davvero florido e squisito oggi. E’ un ambito molto speciale e unico attualmente, di grande valore. Quindi penso che per trarre il meglio da questo, sia necessario che le persone lo guardino il mondo della danza, che lo supportino. L’Italia, dal mio punto di vista – e io ho una vita professionale “breve” in questo campo, di “soli” 26 anni di esperienza – l’Italia è uno dei luoghi migliori con artisti straordinari che si esprimono e relazionano in questo campo. Davvero lo penso. Ci sono dei danzatori fantastici, forse molti di loro se ne sono già andati, lavorano all’estero perché qui è molto molto difficile. Se io fossi il proprietario di una grande azienda, mi chiederei: perché non creo un Festival, che propone solo danza, magari facendomi pubblicità? Perché non creo delle situazioni per promuovere questa forma artistica? E intendo non un supportare i danzatori perché sono un gruppo di persone povere, ma in quanto artisti dalle qualità uniche. Io come proprietario di un’azienda vorrei che il mio prodotto, per esempio se facessi auto, le auto vorrei fossero in relazione con/evocate da qualcosa di unico. Se per esempio si va a vedere il Stuttgart Ballet, il loro sponsor è la Porche. Perché la Fiat non potrebbe sponsorizzare le compagnie di balletto qui? O la Maserati? Penso che le aziende dovrebbero fare questo. Penso che dovrebbero organizzare un evento internazionale. Io lo farei, perché la danza è un linguaggio che non richiede parole, come le auto che fa parte, allo stesso modo, di un mondo che necessita di alta qualità, macchinari, e studi continui. Penso che sia lo stesso per la danza. In questa mia risposta ho voluto restituire una modalità pratica di quello che penso di questa forma d’arte in Italia. Sono così sorpreso e contrariato, di quanto la danza sia poco e male supportata in questo paese. D’altra parte si deve stare molto molto attenti con tutte queste proposte di sperimentazione che pullulano nel panorama della danza. Le persone vogliono sperimentare e credo che sia positivo ma si devono creare degli “ombrelli di sperimentazione”, perché, specialmente in Italia, le proposte sperimentali fanno scappare il pubblico. Ci si deve assicurare che pur restando nell’ambito del sperimentale se si proponga al pubblico offrendo qualcosa di accessibile. Dicendo questo mi sono sempre fatto molti nemici, molti mi hanno detto “che non capisco”, e va bene, forse non capisco, sarò della vecchia generazione ma sono felice di essere noto come sono e di essere soddisfatto di quello che faccio, come lo sono attualmente, e di fare felici le persone con cui lavoro. Penso che qui in Italia abbiate dei bellissimi prodotti da promuovere. Per la danza in generale che è molto primitiva in relazione alla musica, c’è ancora così tanto che può essere sviluppato, e l’Italia è il luogo perfetto in cui farlo.

Cosa trovi in Italia che ti fa dire questo?

La passione! In Italia c’è una passione particolare che non trovi nemmeno a Cuba, perché è un Paese così pieno di storia e opere d’arte, passione e seduzione.

Spesso si dice che la tua danza è cosi piena di seduzione, assieme all’umorismo e alla introspezione, sono questi elementi che rendono la danza accessibile dal tuo punto di vista?

È un punto di vista. Ho solo il mio punto di vista. Lavoro molto anche con l’arte concettuale, faccio anche lavori commerciali, ho lavorato lo scorso anno per un opera al MET, faccio cose diverse per cercare di rendermi veramente felice.

Viene spesso sottolineato il ruolo particolare che gioca la luce nei tuoi lavori…

La luce è un aspetto molto importante nel mio lavoro perché per me porta un importante elemento di decoro sul palco e questo dà forza alla rappresentazione. Quindi cerco di suscitare emozioni, di creare spazi attraverso la luce, di manipolare il punto di vista degli spettatori attraverso di essa. È un elemento extra che mi dà delle possibilità espressive e di sviluppo e crescita.

Trovi che la danza, la tua danza sia una via, attraverso l’arte, per dare dei messaggi rispetto all’attuale situazione umana e politica ?

Si assolutamente.

E come questo entra nel tuo lavoro?

Di solito cerco di creare delle metafore, di usare metafore.

Per quello che sta accadendo in Europa, Netanyahu ha invitato gli israeliani ad andare in Israele.
Non so bene se sia una parte della sua agenda personale fare questi appelli, perché oggi i confini sono aperti. C’è un razzismo dilagante contro così tante persone, attualmente, e con questo non voglio dire che gli ebrei sono da commiserare. L’Italia ha ottimi rapporti con Israele. Le persone trovano nuovi modi per comunicare e convivere, soprattutto i giovani inoltre i media stanno ampliando le possibilità di comunicazione. Io non sono un politico e personalmente credo nel supportarci reciprocamente e nel trovare il lato positivo e buono di ciascun essere umano, non so se l’invito di Netanyahu avrà riscontri, successo o no, quello è il suo punto di vista. Io ho sempre cercato di essere quello che sono senza offendere nessuno e allo stesso tempo ho sempre cercato di pensare per me stesso. Questo è tutto.

Per finire può raccontarci una metafora che ha trovato nella sua arte per dire qualcosa in questo particolare momento ?

Immagina che tu vedi due persone che si stanno picchiando. Sono uno davanti all’altro e si picchiano, e immagina che vedi questo sul palcoscenico durante una performance ed è un atto estremo, quando diresti stop, basta? Quando salteresti su dalla sedia per dire basta? Per me mettere in scena una cosa di questo tipo vorrebbe dire mostrare la violenza esistente attorno a noi. Spesso camminiamo per strada e vediamo una persona cadere per terra e non aiutiamo questa persona, perché è molto confortevole ignorare queste cose. A volte vediamo un uomo che picchia una donna ma noi giriamo alla larga se possibile, perché è molto più confortevole non essere coinvolti. Qual è il limite in cui una persona dice “Basta è abbastanza! Basta così!”? Non sto parlando di un tipo specifico di violenza ma di qualsiasi tipo di violenza. Quante volte si vede una persona anziana che sta cercando di attraversare la strada e le auto non si fermano. A nessuno viene in mente di fermare la macchina non solo per lasciarle passare ma anche magari di scendere e aiutarla ad attraversare la strada. Basterebbe cosi poco molto spesso! Possiamo viaggiare in molti posti nel mondo, vedere cose meravigliose, ma quando accade qualcosa di “scomodo” molto vicino a noi, o qualcosa di estremo, ad un certo punto se solo dicessimo “un momento, sono spaventato, questo mi fa paura!” “questo mi spaventa” e facessimo seguire ad una riflessione profonda seguita da un’azione, forse qualcosa cambierebbe. Negli Stati Uniti ci sono bambini di 11 anni che sparano ad altre persone. Come si è potuti arrivare a questo punto? E potrei andare avanti e ancora avanti con molti esempi. Tornando alla metafora di mostrare due persone che si picchiano a sangue, ad un certo punto qualcuno dal pubblico finisce per dire “basta, fermi!” o per andarsene. Credo che in teatro vedresti più persone che reagiscono e chiedono di smettere. Quindi quello che voglio dire è tutto a noi prossimo, ci riguarda spesso più di quello che pensiamo o vogliamo credere. È così facile arrabbiarsi per qualcosa, e reagire invece di prendere un po’ di distanza e riflettere sul proprio modo di pensare.

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