di Giuseppe Costigliola
Sophia Loren, l’attrice italiana forse più nota al mondo, con all’attivo – in settant’anni di carriera – un’interminabile serie di riconoscimenti (due Oscar, cinque Golden Globe, un Leone d’Oro, un Grammy, una Coppa Volpi, un Prix al Festival di Cannes, un Orso d’Oro a Belino, un BAFTA, dieci David di Donatello, tre Nastri d’Argento), è tornata sulle scene. A dirigerla il figlio Edoardo Ponti, anche sceneggiatore del film insieme con Ugo Chiti, che le ha affidato l’emozionante ruolo della protagonista femminile di La vita davanti a sé, pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Romain Gary, prodotta dalla Palomar e disponibile in streaming sulla piattaforma Netflix dal 13 novembre.
La vicenda narrata è struggente e intensa: Madame Rosa, anziana sopravvissuta alla Shoah che ha conosciuto tutte le asperità della vita, accoglie nella sua casa di Bari (laddove il libro di Gary era ambientato nella Parigi del dopoguerra) ragazzi figli di prostitute, che ospita e accudisce. Un giorno un conoscente, il dottor Coen, interpretato da Renato Carpentieri, le affida un bambino senegalese di dodici anni, Momo (il giovanissimo Ibrahima Gueye, davvero convincente), solo al mondo e pieno di risentimento verso una società che lo emargina. Dopo gli scontri iniziali, anche per l’insofferenza alle regole del piccolo, tra lui e Madame Rosa nasce un sentimento di fiducia ed affetto, quando la donna si rivela nella sua debolezza senile di creatura duramente segnata dalle terribili esperienze vissute. E qui la maestria recitativa della Loren appare in tutta la gamma delle sue sfumature: mai sopra le righe, sempre misurata nel rendere la complessa personalità della protagonista, fiera e indurita dal dolore ma al contempo capace di tenerezza e generosità. La sua recitazione è articolata in un gioco di sguardi, di gesti, di frasi non dette, di ricordi e pensieri, in una prova espressiva altamente drammatica eppure fluida nella sua naturalezza, marchio distintivo dell’attore di razza.
Il rapporto fra Madame Rosa e Momo arricchirà entrambi: la donna troverà consolazione e sostegno in quell’ultima tappa della sua esistenza e il bambino conoscerà finalmente il calore materno che il destino gli ha negato e che gli permetterà di affrontare con coraggio le sfide future. Un duetto, dunque, tra la grande veterana del cinema italiano e il giovanissimo esordiente, che si risolve in un commovente affresco di emozioni, in una tranche de vie struggente e poetica ma non melensa, dominata com’è dall’asciutta interpretazione di Sophia, sempre pronta a fare un passo indietro per lasciar parlare il racconto pur illuminandolo con la sua iconica presenza scenica.
In La vita davanti a sé appaiono chiare le suggestioni di pellicole del passato e gli influssi di registi come Bertolucci, Almodovar e soprattutto lo Scola di Una giornata particolare: è a quest’ultimo che gli autori si sono dichiaratamente ispirati, tanto da inserire una sequenza che richiama la scena tra la Loren e Mastroianni sui tetti del palazzo, tra file di panni stesi ad asciugare. Un tributo alla migliore tradizione del cinema italiano e internazionale che guarda però con forza e slancio creativo alla realtà contemporanea per meglio comprenderla e infondere nello spettatore il desiderio di riflettere e superare prevenzioni e pregiudizi. Com’è proprio della grande arte.