di Giuseppe Cassarà
Definire la sensazione che lasciano i film di Yorgos Lanthimos è come tentare di ricordare gli incubi: più che ciò che si è visto, rimane ciò che si è provato, un senso di realtà sospesa e una vaga inquietudine. Sin dalle sue prime opere, il regista greco abitua il pubblico ai suoi mondi distorti, così simili al nostro eppure diversi, spezzati e privi di qualcosa di essenziale. Più ci si addentra negli incubi di Lanthimos, più ci si rende conto che a mancare ai personaggi che li abitano è un’anima, qualcosa che li renda umani. È così per Doogtooth come per The Lobster o Il Sacrificio del Cervo Sacro, è lo stesso per Alps, che torna al cinema distribuito dalla Phoenix International Film, con la distribuzione esecutiva di Antonio Carloni. Ma come per gli altri film, anche in Alps l’assoluta disumanità dei personaggi, della storia, del mondo intero diventa la sua forza: Lanthimos mette in scena la mancanza, il vuoto e il tentativo dei personaggi di riempirlo. Vuoto d’amore con The Lobster, il vuoto della morte con Alps.
Ad Atene, un gruppo composto da un paramedico, un’infermiera, una ginnasta e il suo allenatore sostituiscono, sotto compenso, persone appena defunte per aiutare amici e parenti a lenire il dolore dell’elaborazione del lutto. Si fanno chiamare Alpeis (Alpi), perché possono rappresentare qualsiasi altra montagna al mondo ma non possono essere scambiate per altre vette. Ognuno di loro porta il nome di una delle vette della catena montuosa.
Protagonista è Monte Rosa, l’infermiera, che seguiamo saltare da una vita all’altra, o meglio da una morte all’altra, per tutto il film: Monte Rosa coltiva affetti, abitudini, sogni e ambizioni dei morti, lasciando un po’ di sé stessa, come per osmosi, nelle vite che interpreta. “Noi tutti siamo abituati a interpretare una parte nella nostra vita, come Monte Rosa nel film” dice Manuele Ilari, fondatore UECI – Unione Esercenti Cinematografici Italiani, “e al contempo a reprimere altro, la nostra natura. Questa repressione sfocia in violenza, come si vede anche nel film”.
Alps, infatti, è un film feroce: feroce è il mondo con i suoi abitanti, fin dalle primissime battute (“Se mi parli ancora in quel modo ti spezzo le gambe” dice l’allenatore alla ginnasta) pronunciate senza pathos, come se gli attori leggessero le righe di un copione, come se stessero interpretando una parte anche quando sono sé stessi. Si è mai davvero sé stessi, sembra chiedere il film, osando anche di più: cosa vuol dire essere sé stessi? Cosa vogliamo, cosa desideriamo, veramente?
Non è un film con una storia distributiva semplice: uscito nel 2011 (e presentato alla 68° Mostra del Cinema di Venezia), arriva in Italia solo nel 2016, ma non ha un grande successo di pubblico, perché Yorghos Lanthimos non è ancora un regista conosciuto. In questi 4 anni, con The Lobster, Il Sacrificio del Cervo Sacro e soprattutto La Favorita, candidato a ben 10 premi Oscar, Lanthimos si è affermato come uno dei più intelligenti e prolifici giovani registi. “Per questo” spiega Ilari, “I tempi sono maturi per riportarlo al cinema, senza contare che a causa del Covid il cinema di qualità si è fermato. Peraltro quest’estate, i Ragazzi del Cinema America hanno ideato una retrospettiva proprio su Lanthimos, quindi il suo nome ormai è sulla bocca di tutti. Sarà un modo per recuperare questo altro suo capolavoro, rimasto in sordina rispetto ai suoi altri film”.