L’Irishman di Scorsese alla festa di Roma: mafie, famiglia e il tramonto della vita | Giornale dello Spettacolo
Top

L’Irishman di Scorsese alla festa di Roma: mafie, famiglia e il tramonto della vita

Con De Niro, Al Pacino e Joe Pesci, una saga tra mafia italiana, irlandese e l’assassinio di Kennedy del 1963. Tecniche digitali per ringiovanire e invecchiare gli attori

L’Irishman di Scorsese alla festa di Roma: mafie, famiglia e il tramonto della vita
Preroll

GdS Modifica articolo

22 Ottobre 2019 - 16.33


ATF

Martin Scorsese alla Festa del cinema di Roma torna alle sue storie del crimine in cui intreccia riflessioni sul vivere e su temi come l’amicizia, la morte, il tradimento, l’invecchiamento. E con un cast dove ritrova Robert De Niro insieme ad Al Pacino, Harvey Keitel e Joe Pesci. In The Irishman recitano tra i protagonisti anche Bobby Cannavale e Anna Paquin. Più testate, non necessariamente italiane, hanno parlato di capolavoro.

Il film presentato alla manifestazione capitolina ha una doppia particolarità: i “bravi ragazzi” sono stati sia ringiovaniti che invecchiati tramite una tecnica digitale ancora sperimentale, a quanto pare per ora molto costosa, impiegata in postproduzione, dacché il regista voleva loro, non altri attori; la tecnologia è della Industrial Light & Magic.
Altro dettaglio: il film di tre ore e mezza sarà nelle sale italiane dal 4 al 6 novembre (in quelle newyorkesi per quattro settimane) in oltre 50 copie distribuite dalla Cineteca di Bologna. Dal 27 novembre lo si vedrà in streaming su Netflix che ha prodotto The Irishman. Scorsese aveva bussato a molte porte e, nonostante sia un regista da Oscar con “The Departed” e abbia un curriculum con pochi eguali, ha trovato quelle porte sbarrate. Il regista ha osservato che Netflix gli ha dato tutta la libertà creativa che voleva e quando lui era in ritardo l’emittente gli ha risposto di procedere e prendersi tutto il tempo necessario. Quanto al trasmettere in streaming il film mentre è ancora in sala (negli Usa, non da noi), Scorsese ha osservato che per vedere un film “devi avere un film” e solo Netflix gli ha dato finanziamenti (ben 160 milioni di dollari) e tempo adeguati.

Frank Sheeran (De Niro) è invecchiato, ha i capelli bianchi ed è sulla sedia a rotelle. È in un ospizio di Filadelfia. Era un camionista irlandese e un boss del sindacato di categoria, è stato soldato nella Seconda guerra mondiale, era un nome nella mafia italiana negli anni Cinquanta. Prima di andarsene Sheeran  svela di aver ucciso lui il leader del sindacato dei camionisti, Jimmy Hoffa (è Al Pacino) per la famiglia Bufalino, per il boss Russell Bufalino (Joe Pesci). Jimmy Hoffa è realmente esistito ed è stato un istrionico sindacalista dei camionisti statunintensi. E il racconto si incrocia con l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy a Dallas nel 1963.

La saga si sviluppa dal primo dopoguerra agli anni Duemila e racconta della mafia italiana e di quella irlandese. Il film è tratto da un libro che De Niro ha suggerito a Scorsese: I heard you paint houses: Frank “The Irishman” Sheeran & Closing the Case on Jimmy Hoffa di Charles Brandt, pubblicato in Italia da Fazi Editore.
“Un senso di melanconia pervade il film perché, per quanto si possa accettare la propria morte, Frank è rimasto solo, ha tagliato i ponti con la propria famiglia”, dichiara il regista alla Repubblica. E all’Ansa: “De Niro ed io volevamo fare un nuovo film insieme dopo Casinò del ’95, ne parlavamo da anni senza trovare la storia giusta. È stato Bob a parlarmi di questo libro: si è emozionato, coinvolto, descrivendo questo personaggio e ho sentito che potevamo essere sulla strada giusta e allo sceneggiatore Steven Zaillian ho chiesto di scrivere un film che cercasse di raccontare una vita intera. Un approccio dalla fine di un’esistenza a guardare a ritroso nel tempo su cui De Niro ed io ci sentivamo a nostro agio”.
Scorsese spiega come lui e l’attore abbiano voluto lasciare nel passato la violenza che ha attraversato la vita di Sheeran, di non averla voluta “spettacolarizzare” e di voler portare il personaggio all’accettazione che “la morte è parte della vita”.

Native

Articoli correlati