“Era il 26 dicembre 1968, lui si impiccò. L’Urlo del titolo è quello di mia madre, quando lo scoprì”. È un Marco Bellocchio molto intimo quello che si racconta in una lunga intervista a Vanity Fair.
Il regista de Il Traditore, il film che racconta la vita del pentito di mafia Tommaso Buscetta, interpretato da Francesco Favino, rievoca il suicidio del fratello gemello, un dolore non fino in fondo metabolizzato:
“Era il non intellettuale di noi fratelli, si era diplomato all’Isef ed era diventato professore di Educazione fisica. Eppure, c’era evidentemente una ferita profonda che l’ha schiacciato. Il Sessantotto fu per tanti un anno di speranza di vita. Per noi è stato un annus horribilis. Io non avevo responsabilità diretta, vivevo a Roma, non ci vedevamo da anni. Ma di fatto non ho capito niente di una tragedia che stava per avvenire. Allora ti dici: è la mia miseria sentimentale, umana. E sei pieno di sensi di colpa”.
Il filo conduttore di Bellocchio parte da una famiglia arida di sentimenti:
“Per un lungo periodo nella mia famiglia c’era il sentimento di sopravvivere, come se al suo interno ci fosse poco spazio per l’amore, per l’affetto. […] Di questa aridità e rabbia I pugni in tasca è una rappresentazione”.
Il regista, ormai 80enne, di rimpianti ne ha, soprattutto nella sfera famigliare:
“I figli. Ne ho due e credo di essermi comportato meglio con Elena, che ha 24 anni, cui ho dato un’attenzione e una presenza maggiore, che con Pier Giorgio: con lui ho fatto errori di trascuratezza”
Dopo il successo de Il Traditore, prepara una serie sul rapimento di Aldo Moro, Esterno, notte. Ma i protagonisti non sono ancora stati scelti:
“La qualità sarà legata alla grandezza degli attori, che vanno trovati. Mi piacciono comunque gli attori che imparano, leggono, Come Favino”.