Lo dicono tutti. Un conto è leggere le cose un conto è vederle da vicino. Non è la stessa cosa, anzi tutto appare diverso: «Parlo come chi ha visto e non può più voltare lo sguardo altrove».
Così l’attrice Cate Blanchett, ambasciatrice di buona volontà dell’agenzia Onu per i Rifugiati, ha iniziato il suo appello al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, riunito a New York, perché agisca con urgenza in favore dei profughi rohingya.
Nel marzo scorso l’attrice australiana ha visitato in Bangladesh i campi dove più di 720mila rohingyani hanno trovato rifugio dall’agosto 2017 per fuggire alle violenze in Myanmar. «Niente – ha detto – avrebbe potuto prepararmi alla grandezza e profondità delle sofferenze che ho visto». «Ho sentito – ha aggiunto – storie terribili di torture, di donne brutalizzate e violentate, di persone che hanno perduto i loro cari davanti agli occhi, di bambini che hanno visto i loro nonni rinchiusi in case poi date alle fiamme».
«Io sono madre – ha detto ancora l’attrice – e ho visto i miei bambini negli occhi di ogni bimbo che ho incontrato». Infine, Blanchett, dopo aver riconosciuto che le loro storie non la lasceranno mai più, indignata ha concluso: «Come può una madre sopportare che i suoi figli siano gettati tra le fiamme?».