In un’intervista concessa ad Andrea Pascani per “Coffee break” in onda su la 7 ,Carlo Vanzina, scomparso oggi all’età di 67 anni, si lasciava andare ad una riflessione semplice e giusta su quale potesse essere la direzione che il cinema italiano stava prendendo e quale fosse la ricetta per trovare sempre idee nuove ed originali per garantire una vita lunga alla settima arte. Il parere di Vanzina è semplice e condiviso: l’Italia e gli italiani hanno saputo produrre il meglio di loro nei momenti più bui della loro storia. L’Italia piegata e devastata del Dopoguerra ha prodotto cinema e letteratura di grandissimo prestigio e di valori che solo un periodo ricco e variegato come il Neorealismo ha saputo approfondire. Vanzina rimprovera quei figli cresciuti pasciuti dopo il “boom economico”, sazi e già stanchi, ragazzi, come avrebbe detto Pasolini seppur in un diverso contesto “, privi di idee e di sogni”. Il regista di “Arrivano i gatti” continua lapidario: “…Quei figli che, appoggiandosi ai genitori, non andavano via di casa e si creavano un equilibrio mentale tale da non cercarsi una propria strada in maniera autonoma”. Lui, quella via autonoma di fare arte e cultura nel mondo della cinematografia, se l’è cercata sin da subito e l’ha trovata ancora prima.
Essendo figlio di Stefano Vanzina in arte Steno, che assieme a Mario Monicelli firmò tanti di quei capolavori che hanno dato vita alla commedia all’italiana, Carlo Vanzina entra sin da subito a contatto con un mondo preconfezionato e colto in cui il saper far cinema è direttamente proporzionale alla propria cultura ed alla propria capacità di “saper rubare”. Rubare dai grandi scrittori, dalle frasi dei romanzi che hanno raccontato stereotipi e personaggi tipici di un periodo storico in cui il personaggio perfetto, delineato nella sua precisione non rispondeva più ad un contesto ed ai gisti del pubblico. Rubare indistintamente da un Gogol, da un Flaviano, da un Lussu. Ma per saper rubare bene bisogna saper conoscere e papà Steno diviene subito un buon precettore per quel giovane figlio (l’altro, Enrico, preferirà sempre stare dietro le quinte come sceneggiatore) volenteroso e già innamorato di quel mondo. “Papà mi faceva assistere a tutte le sue riprese-ricorda il giovane Carlo- ma la carnalità del mestiere la appresi solo quando diventai aiuto regista. Ricordo la cattiveria di Mario Monicelli verso di me, ma poi mi richiamava sempre”.
Anche se il suo esordio come regista risale al 1976 con “Luna di miele in tre”, il vero successo dietro la macchina da presa Vanzina lo raggiunge nel 1982 lanciando uno scatenato Diego Abatantuono con “Ecceziunale veramente”. “Eccezziunale veramente” (di cui realizzerà un sequel nel 2005), rappresenta il punto comune ed allo stesso tempo lo spartiacque con il padre in quegli anni ancora vivente. I personaggi dei film di Vanzina ricalcano in qualche modo quelli del padre e della commedia all’italiana: furbi, ipocriti, cinici, abili in mille rocamboleschi modi di cercare di evitare le proprie responsabilità. Vanzina figlio si spinge però verso il nazional popolare: la morale comune civile che si riscontrava nel film del padre viene in qualche modo nascosta in una battuta o in qualche situazione buffa in più proprio per sposarsi con un pubblico diverso e maggiormente variegato.
L’eterno dibattito sui film della commedia all’italiana moderna viene banalmente racchiuso nel dibattito “Cinepanettoni sì, Cinepanettoni no”: Questo è il problema, o questo è il dilemma? Occorrerebbe farsi una precisa domanda: “Che cosa possono raffigurare quei film e da cosa può nascere una determinata gag o una situazione paradossale.
Carlo Vanzina deriva da una tradizione in cui ogni singola battuta o scrittura era inserita dopo un’accurato studio. Non si commetterà l’errore banale di dichiarare che il figlio ha superato il padre, anche perché non avrebbe senso. Ognuno rimane unico ed inimitabile per quello che ha dato e per quello che ha espresso. E’ interessante notare, al contrario,che in alcuni film di Vanzina si trova traccia di quella intelligenza, di quella forza di scrittura che ha caratterizzato l’epoca d’oro del cinema italiano: l’intreccio riuscito tra comicità e dramma, in cui la battuta graffiante colpiva l’interessato più di un film inchiesta.
Un film come” S.p.q.r.2 2000 e mezzo anni fa” della storica coppia Boldi-De Sica-che deve tanto al regista oggi scomparso, fa sorridere leggermente ma in qualche modo cerca di produrre uno spaccato della società di quegli anni con un’ambientazione del tutto inedita come quella dell’antica Roma. Il Senatore Atticus (De Sica), cinico e spregiudicato Senatore romano che fa dell’abuso di potere la sua regola di vita, non avrà vita facile con il giudice Antonio Servillo (Boldi), deciso a rovinare un tangentista. Il giudice zelante, che non a caso deriva da Mediolanum, richiama troppo un Antonio Di Pietro famelico di giustizia contro i malfattori della Milano degli anni ‘90 per non azzardare un paragone. Non era forse questa anche la tecnica di scrittura di papà Steno o di molti registi (tra cui il Ferdinando Cerchio di Totò contro Maciste) il raccontare situazioni moderni in un contesto storico vecchio di millenni ma tanto simile per abitudini marce e comportamenti loschi?
Carlo Vanzina verrà ricordato come uno dei registi più prolifici della sua generazione, decine e decine di titoli realizzati con i nomi più celebri del cinema e dello spettacolo italiano. Certo, come succede ad appunto, molti dei registi con cinquant’anni di carriera compreso l’assistentato, non tutto si salva, ad esempio molti degli ultimi film, retti da trame il più delle volte troppo a metà strada tra clichè già visti ed uso di battute d’effetto scontate per una risata immediata e di impatto. Ma è un destino comune a chi decide di far ridere e riflettere e non solo la seconda degli intenti. I gusti degli spettatori cambiano, invecchiano e non c’è un rinnovamento tratto da una ferra tradizione.
Prendere in giro un Paese, prendere in giro i vizi e raccontare le virtù è stato il sogno di un regista, di due registi padre e figlio e dello sceneggiatore Enrico. Un regista che ha potuto omaggiare il padre realizzando un convincente sequel di quello che si dice sia il suo capolavoro, Febbre da Cavallo con una seconda parte realizzata ventisei anni dopo il classico primo film. Un film, Febbre da Cavallo-La Mandrakata, che si regge molto bene per scelta di attori (perché però non fu riconfermato Francesco De Rosa, il guardiamacchine Felice che tanto ci sarebbe stato bene nelle nuove avventure dei tre disperati Bruno Fioretti ed Armando Pellicci?”) e per una costruzione di gag, molte delle quali riprese direttamente dal primo capitolo.
Una tradizione fatta propria e ripresa trasfigurata. Certo, come già affermato, era forse meglio fermarsi quando non si era del tutto convinti di un prodotto felice ma tutto sommato, quando riguarderemo un film dei Vanzina junior, ora che Carlo se ne è andato esattamente trent’anni dopo il padre scomparso nel 1988, in parte riassaporeremo maggiormente la nostra memoria.