Immagini, solo immagini, senza commento e pareri diversi ed ideologie distante, in cui il solo protagonista è chi guarda, che può decidere sulle cose che vede. Anche perchè la prospettiva, per una volta, è quella del toro, delle sofferenze che subisce, del suo non accettare che l’uomo lo bracchi, lo ferisca, ne fiacchi le forze per poi sacrificarlo davanti a centinaia, migliaia di persone vocianti, sugli spalti per onorare lo spettacolo o solo per il gusto sotterraneo di vedere una vita che si spegne.
Si chiama semplicemente ”Tauromachia” il lungometraggio proposto dal Pacma, il partito animalista spagnolo, dove tutto scorre, senza censura, senza angolazioni che tentino di accrescere l’effetto sullo spettatore: il sangue che schizza, i colpi inferti all’animale e che gli tagliano la pelle, gli spezzano le ossa, ne erodono lentamente la resistenza. Si vede tutto, dal sangue all’imminenza della fine, che svuota vescica e ventre dell’animale di urina e feci. Ma a dominare, imperando la prospettiva dell’animale, è la sensazione che il toro percorre un sentiero di sofferenza e morte praticamente senza alternativa, un cammino di impotenza.
”Tauromachia” si limita a registrare, mostrando quel che vede la gente, senza modificare, senza ricorere ad un’enfasi di cui non si sente affatto il bisogno. Quel che si vede è lo stesso cui si assiste nelle arene, in ogni suo frangente, il tempo delle picche, il tempo delle banderillas, il tempo dello stocco. Spiega il regista, Jaime Alekos, 32 anni, “le immagini non sono quelle che normalmente appaiono in una trasmissione televisiva, ma sono lì, dipende tutto da dove si punta alla fotocamera”. Nel lungometraggio il toro non è una bestia minacciosa, una macchina di morte da 500 chilogrammi, ma ””una creatura che non capisce quello che sta succedendo” e che, correndo sulla sabbia dell’arena, ”vuole solo fuggire dal dolore e dalla paura” .
Il regista non aveva mai visto una corrida sino al 2014, quando vi aveva assistito seguendo alcuni amci. Ne aveva raccolto delle immagini che si era riguardato poi a casa, da solo. ”Ho capito – spiega – che avevo istintivamente guardato il toro; tutte le mie inquadrature appartenevano all’animale … E c’erano molte cose che non avevo mai visto prima: tutti i miei riferimenti visivi a una corrida erano artistici, antropologici, folk … “, dice il regista. “Ero chiaro che c’era una storia da raccontare”.
Alekos ha passato gli ultimi tre anni a registrare corride ed a leggere tutta la sterminata letteratura su di esse e gran parte di questa ricerca si ritrova nello spirito con cui è stato realizzato ”Tauromachia”. Il documentario, come normale che sia, acuirà le differenze tra chi ama questo che chiamano spettacolo e chi lo odia, chi in esso vede solo violenza gratuita e null’altro. Commenta Antonio Lorca, il critico che segue le corride per El Pais: “Mostra una parte della verità, anche se distorta a mio parere, della fiesta: la più sanguinosa, la più sgradevole, la meno interessante per tutti, appassionati e no. La fiesta non si basa su maltrattamenti o torture, nè chi vi assiste lo fa per la sofferenza inflitta agli animali. La violenza e il sangue fanno parte della fiesta, però va oltre. Come la gallina vive per fare uova e fare un buon brodo, il toro coraggioso esiste per essere combattuto nell’arena. Come appassionato non mi considero un torturatore; anzi mi sento di partecipare ad una comunità in cui il combattimento è un modo per capire la bellezza “.
Paura, dolore e morte: documentario racconta la corrida dalla prospettiva del toro
Presentato dal Partito animalista spagnolo, solo immagini senza commenti, in un crescendo di tensione ed empatia con l'animale che muore davanti alla folla festante
Diego Minuti Modifica articolo
5 Settembre 2017 - 09.49
ATF
Native
Articoli correlati
L'intervista / “Il Pazzo di Dio”: esce il docufilm su don Benzi