Non c’è niente di politico, nulla da contestualizzare, nessun inciso da fare: “Nel 2001, a Genova, una parte non secondaria, ma al contrario importante, della Polizia ha praticato la tortura, uno dei crimini più abietti che un’organizzazione statuale possa perpetrare”. A 5 anni dall’uscita del suo film “Diaz – Don’t clean up this blood” sui fatti avvenuti alla scuola Diaz, la notte del 21 luglio di 16 anni fa, il regista Daniele Vicari non ci sta a essere risucchiato, ancora una volta, nelle sterili rappresentazioni di parte. Di quei 127 minuti dedicati alle violenze, i pestaggi, le sevizie consumate tra le mura dell’edificio scolastico, che ospitava 93 manifestanti dopo i lavori del G8, Vicari cita una scena, neppure la più cruenta, ma significativa: la protagonista femminile, Alma, scaraventata nel bagno, con i vestiti sporchi di sangue mestruale, e una donna come lei ma in divisa, che le lancia della carta di giornale per pulirsi. “Quello che è successo alla Diaz e nella caserma di Bolzaneto ha qualcosa di antropologico – spiega il regista – è troppo facile bollare come fascisti i poliziotti che si sono macchiati del crimine di tortura. Dietro quei fascisti c’è un Paese che la pensa come loro. Affrontare quei fatti ci spaventa.” Secondo Amnesty International , la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale avvenne in Italia in occasione del G8 di Genova: il sonno della ragione che ha generato mostri che l’Italia non vuole affrontare
Hai girato il film a Bucarest. Un modo per dirci che l’Italia non era pronta ad accoglierlo?
“L’Italia non è ancora pronta. Esiste una grande rimozione in relazione ai fatti del 2001. È un problema che ci portiamo dietro da tempo immemore, se vogliamo dal delitto Matteotti. L’Italia non è in grado di ricevere la verità ed è colpa della politica imbelle, dei movimenti che si chiudono in loro stessi, della gente che dei fatti fa uso strumentale. Cosa c’è di politico nel ridurre un essere umano all’impotenza e all’annullamento?”
Che lettura hai dato dei fatti della Diaz?
“Ho realizzato il film leggendo gli atti del processo e ascoltando le testimonianze. Non ci sono letture politiche. Dopo la Diaz è ancora più evidente che la democrazia in Italia è una grande incompiuta. Apprezzo a 16 anni di distanza le parole del capo della Polizia, Gabrielli, che ha definito il G8 di Genova una catastrofe, senza timore di essere sbugiardato dai suoi. Ma siamo indietro: la stessa legge italiana sulla tortura non affronta in maniera limpida e chiara il problema, come avrebbe imposto la risoluzione Onu”
Molti dei poliziotti, condannati per le violenze alla Diaz, torneranno a lavoro: l’interdizione dai pubblici uffici è scaduta..
“In assenza di norme e sanzioni serie, è normale che avvenga. Spero però per il futuro che tutto l’orrore capitato non accada più” .