Il 7 marzo del 1908 nasceva a Roma Anna Magnani, una delle più grandi attrici di tutti i tempi e antesignana dei diritti delle donne. Per celebrare Nannarella, ecco riproposto un articolo di Giancarlo Governi, che ne celebra il mito, la vita, l’opera.
di Giancarlo Governi
Anna uscì dalla sua casa di Palazzo Altieri in una bella giornata di fine estate del 1973, per non farvi più ritorno. La sua agonia alla clinica Mater Dei di Roma durò una ventina di giorni, assistita da Luca e dagli amici più cari.
Il 26 settembre la televisione decide di mandare in onda “1870”, l’ultimo film girato con Giannetti e che non era stato trasmesso insieme agli altri perché destinato al circuito cinematografico. Ma Anna non riuscirà a vederlo. Lo vedrà tutta Italia come estremo omaggio a Nannarella, la sua attrice più grande e più amata.
Perché dopo 40 anni si parla ancora di lei, di Anna Magnani? Perché è stata l’attrice simbolo del cinema italiano del dopoguerra, il cinema della ricostruzione e del riscatto. Perché è stata una delle più grandi attrici di tutti i tempi, capace di comicità sfrenata e di profonda drammaticità. Ma si parla ancora di lei perché è stata il simbolo della donna italiana e della sua crescita.
Di lei, gli italiani da più di cinquanta anni tengono nella mente, negli occhi, nelle orecchie e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che si portava via il suo Francesco, la caduta terribile sul selciato che metteva la parola fine sul suo più grande personaggio, ma anche la risata ora irridente, ora canzonatoria, ora semplicemente gioiosa che spesso, anziché accompagnarla, quasi la precedeva, annunciandola al suo pubblico : la risata di Nannarella.
Ebbe amori drammatici, esclusivi, travolgenti. Patì dolori laceranti, accompagnati da gioie sfrenate, da improvvise voglie di giocare (lei la chiamava “la ruzza”) e da un drammatico disincanto che la portava a non rispettare niente e nessuno che non meritasse di essere rispettato.
Anna era figlia di ragazza madre, come Totò, come Charlie Chaplin, come Marilyn Monroe e come tanti altri grandi dello spettacolo che meglio di altri hanno rappresentato e raccontato l’umanità e la vita sui palcoscenici e sugli schermi. Portò il nome di sua madre e lo stesso nome trasmise a suo figlio, in una sorta di linea discendente al femminile. Ed anche per questo può essere considerata un personaggio di transizione, fra la donna subalterna e la donna li-berata, fino a divenire l’emblema, il portabandiera della grande rivoluzione femminile, ancora in atto. E i personaggi di transizione, si sa, proprio perché portano dentro di loro tutte le contraddizioni, sono sempre i più interessanti, i più vivi, i più veri.
Anna Magnani diventò l’attrice simbolo italiana nel mondo in un momento particolare della nostra storia quando Roma era stata appena liberata dopo essere stata per dieci mesi sotto il terrore nazista, e la guerra si era spostata al Nord. In questo clima ci furono dei cineasti, che riuscirono a girare un film diverso da tutti quelli che erano stati fatti in Italia prima di allora. Un film che voleva raccontare l’incubo dell’occupazione nazista.
“Roma città aperta” (così si chiamò il film) dette inizio ad una stagione nuova nel cinema italiano, come con la Resistenza e la Liberazione era iniziata una stagione sociale nuova per il Paese. Il cinema diventò più maturo e si fece strumento di conoscenza e veicolo di idee.
Il film di Roberto Rossellini farà scuola a tutti gli altri che verranno dopo e che daranno vita ad un cinema che, uscito dagli studi, scenderà nelle strade, a contatto con la gente. Sarà una stagione breve ma intensa e si chiamerà neorealismo.
Anna Magnani, anche se poi questo cinema si nutrirà dei cosiddetti “attori presi dalla strada”, del neorealismo rimarrà il simbolo, con il suo volto vero e sofferto, pronto a illuminarsi in una risata liberatoria come a incupirsi nella collera o a disfarsi nel dolore. Il nome di Anna con questo film varcò l’oceano e di trionfo in trionfo arrivò anche a conquistare lei stessa l’America dove fu premiata addirittura con l’Oscar, prima italiana a ricevere l’ambita statuetta.