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Ettore Scola, c’eravamo tanto amati

Un grande artigiano del cinema, autoironico e attento osservatore del costume. I capolavori, l’impegno e la signorilità di un maestro. [Francesco Troncarelli]

Ettore Scola, c’eravamo tanto amati
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19 Gennaio 2017 - 15.50


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di Francesco Troncarelli

Ironico, garbato, la barba imbiancata e lo sguardo sornione, signorile in ogni suo comportamento o manifestazione di pensiero. Ne aveva viste tante in anni di cinema e di vita vissuta in prima fila nella società civile, ma soprattutto ne aveva raccontate tante di storie per il grande schermo Ettore Scola, piccole e grandi gemme realizzate da un artigiano che dava tutto sé stesso per offrire il prodotto migliore.

La sua era arte pura frutto di un’osservazione appassionata della realtà quotidiana e di una dedizione al lavoro che veniva da lontano. Dalle redazioni dei settimanali satirici di una volta, quelli che graffiavano con le loro battute pungenti e mai offensive e con le sceneggiature di film che con le idee giuste facevano contenti tutti: pubblico, produttori e interpreti.

Era irpino, di Trevico, ma di Roma la città in cui si era trasferito giovanissimo con i genitori, aveva capito tutto, umori, amori, dolori apprezzandone tipi, riti e miti che avrebbe poi riportato fedelmente nei suoi lavori regalandoci verità in celluloide di quotidianeità.

Liceo classico all’Albertelli, all’Esquilino, studente di legge, disegnatore e battutista sui celebri ‘Marc’Aurelio’ di De Bellis, incredibile fucina di talenti (Metz, Marchesi,Mosca, Fellini, Age) e il Travaso (Scarpelli, Jacovitti, Nistri), quindi autore alla radio per le irresistibili gag di ‘Mario Pio’ e il “Conte Claro”, cucite addosso ad Alberto Sordi di cui diventerà amico fraterno.

Scola è cresciuto nel cinema italiano come un ‘ragazzo di bottega’. I suoi maestri sono stati Mario Mattoli, Steno, Antonio Pietrangeli ma anche il principe della risata Totò. Eppure è a Vittorio De Sica che dedicherà il suo capolavoro ‘C’eravamo tanto amati’ del ’74 ed è al neorealismo che guarderà con partecipazione con ‘Una giornata particolare’ del 1977, il film scritto insieme a Maccari da un’idea di Maurizio Costanzo, da molti ritenuto il punto più alto della sua collaborazione con l’amico Marcello Mastroianni che avrebbe diretto in ben nove film.

Le sue prime sceneggiature le firma nei primi anni ’50, e sono successi popolari al massimo, da ‘Un americano a Roma’ a ‘Accadde al commissariato’, da ‘Il conte Max’ a ‘Il mattatore’ o ‘La marcia su Roma’ che preannuncia il suo esordio dietro la macchina da presa. E’ il 1964, il film è ‘Se permettete parliamo di donne’ con Walter Chiari, Gassman, Sylva Koscina e Giovanna Ralli. Un buon debutto, che abbinato ad una sicurezza del mestiere gli consentiranno di ripetersi (‘La congiuntura’ e ‘L’arcidiavolo’ con Gassman), sino ad arrivare al suo primo successo popolare nel ’68 con ‘Riusciranno i nostri eroi’, favorito da un Sordi e un Nino Manfredi, finalmente in coppia e in stato di grazia.

Gli anni ’70 coincidono con la massima creatività di Scola come autore, “Dramma della Gelosia” (Vitti, Mastroianni e Giannini), “La più bella serata della mia vita” da Durrenmatt, “i Nuovi Mostri” (L’elogio funebre con Sordi), “Brutti, sporchi e cattivi” (Manfredi), sono film che lasciano il segno in tutti i sensi. Ancora una volta i vizi degli italiani sono in mostra, ma l’approccio è differente da quello dei maestri Monicelli e Risi, in lui c’è sempre una vena di malinconia e perché no, di solidarietà per i suoi ‘mostri’, che beffeggia ma in fondo ama.

Da regista ha sempre guardato con disincanto alla sua carriera, eppure film come ‘La terrazza’ del 1980 e ‘La famiglia’ dell’87, scandiscono altrettanti capitoli del nostro miglior cinema in una fase storica che accentuava il declino della società.

Questi suoi film che al successo popolare abbinano quello della critica che in lui riconosce definitivamente il grande autore, sono istantanee che raccontano più di un trattato di sociologia o di un convegno di studiosi quella Italia che perdeva le certezze e non aveva trovato ancora il suo cammino. “La famiglia” in particolare abbraccia idealmente 80 anni di storia italiana con tutti i suoi cambiamenti.

Animatore della politica cinematografica degli autori con l’Anac, ministro-ombra del Pci con delega alla cultura nel 1989, ha realizzato anche molti documentari come ‘Viaggio nel Fiat Nam’, ‘Un altro mondo è possibile’ e ‘Lettere dalla Palestina’, passando per il toccante ‘L’addio a Enrico Berlinguer’ del 1984. Scola del resto non si è mai nascosto dietro scelte di comodo, ma al tempo stesso non ha mai sbandierato le sue passioni, anzi accompagnava le sue apparizioni pubbliche, con un gusto della battuta sdrammatizzante che lo rendeva vicino alla gente e lontano dal Palazzo.

Ha vinto a Cannes e a Venezia, per quattro volte è stato nominato all’Oscar (Una giornata particolare, I nuovi mostri, Ballando ballando, La famiglia) e sulla bacheca di casa ci sono 8 David di Donatello, compreso quello alla carriera ricevuto nel 2011. Con tutto ciò ci teneva a non essere considerato un’icona, ed è lecito supporre che anche ora non avrebbe gradito tanti elogi sperticati, lui che in fondo era un timido e riservato gran signore dotato di grande autoironia.

La triste realtà della sua scomparsa, un anno fa, però, ci dice che senza il suo cinema fatto di grande artigianato e intelligenza e senza la sua presenza forte ma non appariscente nella cultura, ci sentiamo tutti più poveri. C’eravamo tanto amati Ettore Scola, da quando manchi è più difficile.

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