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Lino e Primo: la musica popolare nella Valle del Savena in un docufilm

Tremolada realizza lo spaccato di un mondo sconosciuto ai più. Nella Valle del Savena, la musica e i balli popolari si tramandano da generazioni. [Mara Corradi]

Lino e Primo: la musica popolare nella Valle del Savena in un docufilm
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14 Novembre 2016 - 19.03


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di Mara Corradi

“Lino e Primo” è il titolo del documentario girato da Emilio Tremolada nella Valle del Savena, in provincia di Bologna, dall’estate del 2014 a quella del 2016. Ma la storia di due suonatori, Lino Giovannardi, detto Galinino, e Primo Panzacchi, detto Primétt, è solo un espediente letterario. Nel racconto di Tremolada le loro vite si intrecciano con quelle di molti altri suonatori e ballerini che negli anni del dopoguerra si spostavano tra Monghidoro, Loiano e Monzuno per guadagnare qualche soldo e scordarsi della miseria.

Fotografo milanese con un’intensa carriera legata al mondo del design e fondatore della casa di produzione Designinvideo, Emilio Tremolada torna nelle terre in cui ha trascorso le estati della sua giovinezza e racconta una storia che nasce e si radica in questi monti e le cui vicende sono ancora tramandate oralmente, dalle generazioni che vissero la guerra a quelle che oggi fanno la maggiore età.

Qui negli anni Cinquanta le note del violino, della cromatica (fisarmonica), del clarino e della tromba risuonavano sotto i portici e per le vie dei paesi o, a Carnevale, nelle case dei contadini, gli unici, si racconta, che avessero qualche soldo da dare ai musicisti. Si lavorava di giorno e poi la sera si andava tutti a sentirne suonare due o tre che si mettevano insieme a formare una piccola orchestra e si ballava fino a mezzanotte, quando tutti si fermavano per mangiare un bel piatto di tortellini, offerto dalla famiglia. Quindi si riprendeva anche fino alle cinque del mattino, chiudendo le imposte perché non entrasse il giorno, e poi via, di nuovo a lavorare, in bicicletta con un metro di neve.

Questi e tanti altri aneddoti si succedono nel montaggio cadenzato, come le fotografie ingiallite degli album, nelle interviste che Tremolada realizza ai sopravvissuti di quella generazione, come Lino e Primo, come le loro mogli, che parlano dietro le telecamere intervenendo a completare le frasi dei mariti, come le ragazze che pascolavano le mucche cantando o quelle che andavano al mercato di Monghidoro, perché poi si ballava fino alle tre del pomeriggio.

Il documentario è scritto dalla gente, quei suonatori e quei ballerini che erano ragazzi nel dopoguerra e che raccontano i ricordi e quelli che nei decenni successivi ne hanno calcato i passi, ognuno a modo proprio, fino a quelli che ragazzi lo sono oggi e non hanno smesso di suonare e ballare.

Impeccabile la fotografia con cui Tremolada scatta i ritratti ai protagonisti, nelle loro case, con stufe a legna, muri anneriti, vecchie credenze con cartoline incastrate nelle ante di vetro, cassetti e vetrinette pieni di ninnoli, strumenti musicali e spartiti macchiati di vino. Ma anche per le strade, nei borghi e poi mentre suonano alle feste paesane che si svolgono ancora oggi.

Colpisce la quantità di testimonianze preziose raccolte in due anni, che denota una ricerca approfondita e molteplice allo scopo di dipingere questo “mondo piccolo”, come l’avrebbe chiamato Guareschi, di sfumature, impressioni personali di ognuno, modi di ballare e fantasie nel suonare: come Primo, che aveva un tempo incredibile, e come Lino che con un panno rosso copriva la tastiera della fisarmonica, quasi che suonasse con il cuore più che con le dita. E stupisce la quantità di materiale d’archivio, registrazioni e documenti, raccolto da Placida Staro, suonatrice-ricercatrice come lei stessa si definisce, trasferitasi in quelle terre con la passione di studiarne e perpetuarne le tradizioni. Restano in mente le storie di fame e di miseria dell’immediato dopoguerra, le “robe da matti” come le chiama Lino Giovannardi, e la protesta dei minatori italiani emigrati in Belgio: suonando e cantando chiesero di avere il cambio della paglia su cui dormivano da un mese intero e se la sentirono negare.

Tutto ciò tradisce certamente un coinvolgimento personale dell’autore, ma privo di sentimentalismi, perché la tesi del documentario è che questa cultura, che ha origini lontanissime che si perdono nel tempo, sia stata tramandata e rimasticata negli ultimi decenni per arrivare ancora viva e vissuta ai giorni nostri. Nella Valle del Savena si possono ballare le “musiche moderne”, o lisci, ma si suonano e si ballano ancora la Morettina, il Manfrone, il Baraben, il valzer delle tagliatelle e il Son sèt an che fo la serva, che la gente chiama musiche antiche o balli montanari “staccati”. Una differenza cui Tremolada accenna solamente, alludendo a una naturale evoluzione dettata da contaminazioni con altri generi di musiche popolari (polka, mazurka, cha cha cha, ecc.). Negli anni settanta infatti si avvertiva che la musica del popolo e fatta dal popolo era stata superata dalla musica delle orchestre, dei gruppi, delle band, la musica commerciale, o commerciabile, che non aveva più confini geografici ma era diffusa in radio e in televisione. Ecco perché a un certo punto il film racconta del concerto tenuto alla Scala di Milano nel 1976 intitolato “Musica popolare e folk revival”, in cui si sentiva la necessità di celebrare un tempo ormai tramontato.

Nella Valle del Savena questo tempo vive ancora oggi, i ragazzi frequentano le sagre e ballano – non due o tre, ma tantissimi – i balli staccati di preferenza. Con il ballo parlano tra loro, con il movimento delle gonne le donne mandano messaggi e dirigono la danza, con le mosse corteggiano o “mandano a quel paese”. E i giovanissimi continuano a suonare la fisarmonica, il violino e il clarino, per divertimento e per far divertire, guardando chi danza e facendoli danzare. E fa davvero impressione vedere un rasta che balla il Pizzichino.

La prima del film si tiene domenica 20 novembre 2016, alle ore 16, presso la Sala Comunale di Monghidoro (BO).

Segue la proiezione presso il cinema Vittoria di Loiano (BO), giovedì 24 novembre alle ore 21.

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