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The Young Pope: un affresco in movimento degno di Sorrentino

Tecnicamente magistrale, con attori divini, la trama della serie, alla fine, è la cosa meno interessante. [Cesare Gigli]

The Young Pope: un affresco in movimento degno di Sorrentino
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24 Ottobre 2016 - 11.19


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di Cesare Gigli

Partiamo subito da un dato di fatto: “The Young Pope” è tutto tranne che un prodotto studiato per diffamare la Chiesa o peggio ancora per mettere in ridicolo la Religione Cattolica.

Il successo mediatico che ha ottenuto in Italia (poco meno di un milione di spettatori su un canale a pagamento) andrà confermato con le puntate successive, ma dimostra comunque che il prodotto è tra le cose migliori che la TV poteva proporre quest’anno, peccato che lo possano vedere in pochi. E ci si lamenta per questa cosa non per la spocchiosità intellettuale di chi contesta la TV generalista a tutti i costi, questa: ma, al contrario, per la pretesa di avere prodotti del genere accessibili a tutti.

I primi due episodi raccontano soprattutto le persone, la loro interazione ed il loro rapporto con questa bimillenaria istituzione che è la Chiesa Cattolica.

Personaggi complessi, e che non sono ancora – neanche il protagonista lo è – codificati nella classica ripartizione “eroe-antieroe”.

Abbiamo un papa conservatore (Jude Law) – eletto per far dispetto al suo stesso protettore – che rivuole la Tiara come simbolo del comando, un passato da orfano che vuole affogare nel suo nuovo ruolo. Lo stesso nome scelto, Pio XIII, rimanda al potere temporale reale dei papi (Pio IX, unico papa mostrato con un quadro nelle stanze vaticane, e Pio XII ultimo papa profondamente “politico” per Roma).

Una “perpetua” (Diane Keaton) ed un “maestro” (James Cromwell), americani e quindi cattolici complicati per definizione: la T-Shirt indossata per la notte dalla Keaton con la scritta “I’m a Virgin but this is an old shirt” (Sono vergine, ma questa maglietta è vecchia) è forse un po’ troppo macchiettistica, e magari sminuisce la complessità del personaggio; mentre il “maestro” del papa cardinale Spencer esordisce con un tentativo di suicidio, per la disperazione che il tradimento del suo pupillo gli ha procurato.

Infine, con una recitazione magistrale c’è Silvio Orlando ed il suo cardinale Voiello, il segretario di stato, che ritiene il suo magistero “salvare la Chiesa” (la scena in lacrime davanti al bambino handicappato con cui termina il secondo episodio è toccante).

La Chiesa Cattolica ha saggiamente evitato di commentare pubblicamente la serie, solo Don Davide Milani, presidente della Fondazione ente spettacolo e della Commissione nazionale di valutazione dei film per conto della Cei ha commentato la cosa al Fatto Quotidiano, non condannando affatto il prodotto, dicendo che è ben fatto, che la Chiesa si dovrebbe saper raccontare altrettanto bene, e che l’unico neo che vi ha trovato e che i fedeli siano trattati come massa acritica. Critica che ci può stare, ma solo se si è visto solo il primo episodio e non il secondo. Quel laser puntato sulla silouhette del papa, e che lo fa arrabbiare, è invece un modo per i fedeli di esprimere il “loro” rapporto con la chiesa.

Tecnicamente fatto in modo magistrale, con attori che, ci si perdoni il gioco di parole, recitano in modo divino, l’impressione che mi ha dato è quella di un “tipico” prodotto sorrentiniano: un’eccezionale serie di “affreschi in movimento”, che rendono la trama, alla fine, la cosa meno interessante della serie (ed infatti compare la dimensione onirica, artificio tipico per chi non vuole fare vedere un filo lineare da seguire). Questo è ciò che in genere fa Sorrentino, e che ritroviamo, con la solita maestria, nei primi due episodi. Resta un dubbio: una serie TV senza una trama in primo piano ha senso? O il rischio è quello di vedersi davanti un film lungo 10 ore, senza che il grande schermo ci faccia apprezzare appieno le scene? Aspettiamo i prossimi episodi per rispondere a queste domande.

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