Il 9 settembre, al festival canadese debutta il documentario originale di Netflix Amanda Knox, diretto da Rod Blackhurst e Brian McGinn che racconta la storia della studentessa americana due volte condannata e due volte assolta dalla giustizia italiana per l’omicidio della sua coinquilina Meredith Kercher. Il documentario si pone una domanda e si chiede se Amanda sia una spietata psicopatica che ha assassinato la sua compagna di stanza o un’ingenua studente straniera intrappolata in un incubo senza fine. Debutterà in tutti i paesi dove è in atto il servizio Netflix dal 30 settembre. E’ la terza trasposizione al cinema o in tv della storia dell’omicidio di Perugia.
“Prima dell’Italia, avevo una vita felice”. Così inizia il film che racconta la storia di Amanda e degli altri protagonisti del delitto di Perugia.
“Incontrando queste persone, abbiamo capito che ognuna di loro aveva una storia da raccontare – spiega il regista Rod Blackhurst -. E che nella rappresentazione mediatica del caso, le persone mancavano”. “Le persone vogliono sapere chi è il cattivo, ne sono affascinate perché hanno paura”, ha detto Rod. “La prima volta che abbiamo incontrato Amanda o Mignini, non sapevamo chi fossero – interviene Brian -. Avevamo letto e sentito tantissime cose su di loro, e non era facile capire quale fosse la verità. La prima cosa che abbiamo fatto è stato sederci con loro e parlare. E tutti i pregiudizi sono scomparsi”. “Con questo documentario – continua Brian – abbiamo cercato di arrivare alla sostanza. Non di risolvere un crimine. Volevamo capire perché una tragedia come questa, dove una giovane donna è stata uccisa, è diventata un caso internazionale”.
“Le riprese sono iniziate nel 2011, a Perugia – racconta Rod -. Abbiamo fatto ricerche e abbiamo cominciato a incontrare persone. Poi abbiamo conosciuto Amanda, a Seattle, a casa di sua madre. Quello che abbiamo capito, e che diciamo anche nel film, è che ogni persona reagisce a modo suo e molto spesso non c’è nessun significato dietro una reazione”. “Abbiamo pensato che questa storia non riguardasse solo Amanda o la giustizia italiana – dice Brian -. Durante il processo, i media stavano cambiando. Molte delle notizie arrivavano online e spesso tutto quello che i giornalisti volevano era saperne abbastanza per scrivere titoli che attirassero l’attenzione”