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“Questo film è nato da circa mezzo secolo di bile rispetto a quello che è successo a Pier Paolo.” Così David Grieco, giornalista, saggista, sceneggiatore parla del suo nuovo film da regista, che arriva un decennio dopo circa il sorprendente Evilenko con Malcolm McDowell e Marton Csokas. La Macchinazione che vede Massimo Ranieri nei panni di Pasolini è stato prodotto dalla Propaganda di Marina Marzotto con una piccola partecipazione della francese To Be Contined: un film che, sulla carta, si propone come una delle possibili grandi sorprese della fine dell’anno per il suo riprendere la tradizione del cinema civile italiano. Una pellicola ispirata da una serie di rivelazioni e di tasselli per un’inchiesta infinita che diventa cinema un anno dopo il Pasolini di Abel Ferrara per cui Grieco dice di essersi rifiutato di scrivere: “A lui non interessava scavare nelle ragioni della morte di Pier Paolo, a me non andava di scrivere un film su Pasolini che prescindesse dal significato della notte del 2 novembre 1975.” L’uscita del film sarà preceduta, il 27 agosto, dalla pubblicazione di un libro per Rizzoli intitolato La Macchinazione “Il libro inizia dove il film finisce, anche se nel tempo ho maturato la consapevolezza che solo il cinema, potesse raccontare davvero gli ultimi tre mesi della vita di Pasolini.” Spiega David Grieco “Alcuni dettagli e lacune della vicenda potevano essere superati solo tramite delle invenzioni: il mio approccio è stato lo stesso di Oliver Stone per JFK facendo delle forzature, ovvero collegando delle cose che, apparentemente, non sembrano collegabili tra loro. Un processo che può avvenire solo tramite la finzione cinematografica.”
Lei era amico di Pasolini e ha lavorato con lui: è un testimone diretto di quegli anni.Ho scritto la memoria di parte civile per il processo di primo grado: sono stato amico anche di tutte le persone del suo entourage, in particolare di Sergio Citti e di Laura Betti e ho collaborato alla costruzione del fondo Pasolini. Purtroppo la sentenza di appello del processo Pelosi esclude la presenza di ignoti e afferma, pur non stando in piedi, che Pasolini sia stato ucciso da una persona sola. Nel 2009, però, l’avvocato Stefano Maccioni è riuscito a far riaprire il caso che, nonostante si sia voluto far credere il contrario, è ancora aperto, grazie alla sua opposizione all’archiviazione.
Parliamo del film?La Macchinazione inizia quando il Pci vince le elezioni amministrative e tutti pensano che potrà vincere anche le politiche: Pasolini sta scrivendo Petrolio ed è preso dalla febbre di una serie di scoperte che lo portano alla sua fine. La Macchinazione parla anche di altre cose: una a cui tengo è quella del racconto della malavita romana descritta genericamente sotto l’ombrello della Banda della Magliana e siccome li ho conosciuti un po’ tutti volevo metterli sulla scena per come erano realmente, ovvero dei ‘disgraziati’e non certo gli epigoni di Scarface che abbiamo visto in Romanzo Criminale.
Lei conosceva Pelosi?No, ma Sergio Citti mi ha raccontato che la loro frequentazione risaliva ad alcuni mesi precedenti alla sua morte. Non si trattava di un incontro fortuito. Questo elemento ha fatto sì che potesse essere usato come esca: tra loro c’era un rapporto. Altrimenti non sarebbero riusciti ad attirarlo ad Ostia. Pasolini si è fidato di Pelosi e non si sa quanto quest’ultimo fosse consapevole di quello che gli è stato costruito intorno.
Lei racconta la storia inedita del furto del negativo di Salò come causa di tutto.L’unica volta che è stato rubato il negativo di un film in 120 anni di storia del cinema è accaduto nel caso di Salò. A farlo: la banda della Magliana che ha chiesto due miliardi per la sua restituzione ben sapendo che nessuno avrebbe pagato una cifra del genere equivalente all’intero budget del film. Perché? Perché ad un certo punto hanno detto a Sergio Citti che si erano sbagliati e l’avrebbero restituito a fronte di una “mancia” di tre milioni. Sergio se lo sarebbe ripreso, ma loro hanno insistito per darlo solo a Pasolini. Pier Paolo in un primo momento ha fiutato la trappola, poi, nonostante avesse terminato il montaggio anche senza il negativo, ha deciso di andarlo a prendere.
Perché?Inizialmente Pier Paolo aveva intuito la mutazione di pelle di quei ragazzi che da delinquenti erano diventati drogati e assassini su commissione. Un mese dopo ha deciso di andare all’appuntamento, dicendolo a Sergio sapendo che era una trappola. Lui era convinto che non l’avrebbero ucciso, perché sarebbe stata una cosa troppo grossa perfino per loro. Ma era anche consapevole, come scriveva, di ‘dovere mettere il corpo nella lotta’ e che qualora fosse morto avrebbe ‘fatto saltare il coperchio della pentola’. Da una parte si è fatto male i calcoli: in qualche maniera, però, ha avuto ragione, perché ha potuto così cambiare il corso delle cose e diventare in un certo senso ‘immortale’ visto che il suo nome è quello di uno dei pochi registi e intellettuali italiani conosciuto in tutto il mondo. Una volta Benigni mi ha detto: “Qui ormai c’è l’oblio per tutti tranne per una persona sola: il tuo amico Pier Paolo Pasolini”. In questo ha avuto, purtroppo, ragione.
Chi vedrà il suo film arriverà alla verità?Saprà come sono andati davvero i fatti: alla verità non ci arriveremo mai così come accade per Ustica, le stragi di Brescia e Bologna e quella di Piazza Fontana. I mandanti sono ancora qua insieme a noi.
A chi si riferisce?Ad un’organizzazione nata dopo la Seconda Guerra Mondiale che ha deciso come dovevano andare le cose in Italia. Fondamentalmente Stay Behind è stato un modo di delegare la nostra sovranità nazionale ad una grande potenza. Tutto questo insieme ai fascisti, alla classe politica corrotta e alla delinquenza mafiosa. Hanno fatto di tutto in questi sessanta anni: e in tutto questo c’è anche la morte di Pier Paolo Pasolini.
*Questo articolo è stato pubblicato sul Giornale dello spettacolo [url”anno 70, n.3 del 2015″]http://giornaledellospettacolo.globalist.it/Detail_News_Display?ID=82217&typeb=0&Speciale-Cannes-sfoglia-il-Giornale-dello-Spettacolo[/url]