“Dovremmo difendere dalle ingerenze della politica un direttore che è stato nominato grazie ai suoi rapporti con la politica? Sarebbe davvero un paradosso, un po’ ridicolo…”. Negli ultimi sei anni, dicono alla palazzina di Saxa Rubra che ospita il Tg3, il clima è stato quotidianamente pesante, qualche volta pesantissimo, sempre irrimediabilmente legato agli umori della direttora, con un “meteo” in proposito minaccioso e costantemente di allerta. Ma in questi giorni, in queste ore, si è toccato l’apice dell’invivibilità, aggiungono, pensando con rabbia all’inizio di tutto, a quel novembre del lontano 2009 quando questa direzione ebbe inizio e Di Bella mandato a Parigi.
Le puntate precedenti si sanno: la critica di Anzaldi alla lunga gestione della direttora, mai serena, pare, e mai segnata da successi di ascolti, l’intervista della direttora a Renzi, salita a Palazzo Chigi per chiedere che Anzaldi fosse richiamato, la prontissima discesa in campo del Comitato di redazione, lo stesso – ricordano in tanti – che non aveva mai brillato nella difesa dei tanti discriminati all’interno della redazione, e tra questi Santo Della Volpe. Degli ultimi giorni anche un intervento di Maurizio Mannoni, una risposta a Mannoni di un vice della direttora, sceso in campo per la direttora, e poi una sventagliata di mail incrociate e sguardi in cagnesco nei corridoi. Col cielo diventato scuro come quello di Damasco attraversato dalla guerra.
Non mi sorprende la difesa d’ufficio di un vicedirettore, abbiamo un’età sufficiente per ricordare una vecchia canzone di Ombretta Colli: “Facciamo finta che tutto va ben…” Potremmo usarla come sigla del Tg3…e il Comitato di Redazione approverebbe…”. Indignazione diffusa, dunque a fronte di quella “indignazione stucchevole “del Comitato di Redazione, dicono un po’ più apertamente nella palazzina di Saxa investita dalla bufera. E gli stessi invitano l’organismo sindacale ad “occuparsi dei problemi reali e gravi del Tg3”.
Qualcuno aggiunge un ricordo: i due membri del CdR – epoca direttora – promossi caporedattore “a loro insaputa”, ma soprattutto a insaputa della redazione, con una ritardata comunicazione ufficiale, probabilmente perché “scandalosa”. In questo clima, con chi scende in campo per difendere la direttora e licenzia come “minacce” l’aperta critica del segretario della Commissione di Vigilanza, anche la morte di Ingrao è diventata occasione di scontro. Pare che – come si usa in ogni redazione – in considerazione dell’età di Ingrao, da tempo fosse pronto un “coccodrillo”, quella scheda che si confeziona con l’accortezza che sia valida all’occorrenza. L’aveva realizzata una redattrice del Politico.
Il “coccodrillo” era pronto e disponibile alla notizia della morte di Ingrao, ma la direttora ha disposto che si cestinasse e si facessero due pezzi in fretta e furia a firma di un vicedirettore e di un caporedattore. Pare che la firma della redattrice non rientri in quelle di gradimento della direttora. “Era stata preparata tanto tempo fa, anni fa…”, dicono in direzione. In redazione replicano: “Non ci pare che negli ultimi anni la vita di Ingrao abbia registrato scossoni degni di sovvertire quel “coccodrillo”….”. Altre voci: “Se vi indignano tanto le presunte liste di proscrizione di Anzaldi – si fanno sentire gli indignati del Tg3 – non dovrebbero piacervi neanche quelle reali della Berlinguer…” Editti veri e presunti e liste di proscrizione.
“Berlusconi annullò la presenza in video di professionisti di cui non condivideva le idee politiche: ebbene, non è forse quello che è accaduto a tanti colleghi della nostra testata ad opera della direzione?”, replicano gli indignati a chi si indigna per le critiche alla direttora. C’è chi è fuggito dal Tg3 ( vedi “Il racconto di un profugo del Tg3” ). chi si è rivolto al magistrato. Ma pare che la direttora non abbia preso in grande considerazione neanche la sentenza del magistrato. Questo sotto il cielo di Saxa.