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Romeo & Juliet di Carlo Carlei: Shakespeare for beginners

Carlo Carlei realizza una nuova versione ‘pop’ della celebre storia d’amore, filologicamente ineccepibile, con una vocazione action e un ottimo cast.

Romeo & Juliet di Carlo Carlei: Shakespeare for beginners
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6 Febbraio 2015 - 15.20


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di Piero Cinelli

Una storia immortale raccontata con le stesse parole e negli stessi luoghi in cui è stata immaginata, per dare a una nuova generazione di spettatori la possibilità di dare un volto a due nomi che hanno senza dubbio sentito innumerevoli volte: Romeo e Giulietta. Il regista italiano Carlo Carlei, attivo sia in Italia che in Usa, realizza una nuova versione ‘pop’ della celebre storia d’amore scespiriana, filologicamente ineccepibile ma con una vocazione action e con un cast spettacolare, in uscita nelle sale il 12 febbraio 2015.

“Ho cercato di fare una versione classica e allo stesso tempo contemporanea, rispettando il testo e la sua ambientazione storica, ma togliendo la patina teatrale che lo allontanava dal pubblico meno sofisticato, cercando di approfondire le personalità di tutti i personaggi, come esseri umani le cui vite saranno cambiate per sempre” ci ha spiegato Carlei, che ha affidato i ruoli dei giovanissimi amanti agli astri nascenti Hailee Stainfeld (candidata all’Oscar per Il grinta dei Coen) e Douglas Booth (Noah di Aronofsky). Intorno a loro un sontuoso cast internazionale composto da Damian Lewis, celebrato protagonista della serie tv Homeland (Lord Capuleti), Kodi Smit-McPhee nel ruolo chiave di Benvolio, Paul Giamatti (Frate Lorenzo), Lesley Manville, la nutrice di Giulietta, ed inoltre Douglass Booth, Ed Westwick, Laura Morante (Lady Montecchi) e Stellan Skarsgard (il principe di Verona).

Anche di fronte ad un’opera di Shakespeare lei non si lascia tentare dal film di nicchia che tanto piace a molti suoi colleghi in Italia, ma preferisce rileggerla come un film di grande respiro per un pubblico molto vasto.

Fa parte della mia formazione. Ho deciso di fare il regista guardando i film di Kubrick, Boorman, Losey, Ken Russell, grandi registi che affrontavano grandi temi con uno stile immaginifico che andava oltre le barriere di una singola cinematografia. E questa è diventata anche la mia aspirazione. Il mio primo film La corsa dell’innocente è diventato un successo internazionale il che vuol dire che anche in Italia era possibile fare un film di tipo internazionale, e questo mi ha permesso di continuare in questa direzione.

Forse è proprio questa spinta che manca al cinema italiano, che anche dopo l’Oscar di Sorrentino continua a riproporre modelli regionali?

Rispetto a quando ho girato La corsa dell’innocente (1992) le energie e le capacità del cinema italiano sono moltiplicate, Sorrentino è la punta dell’iceberg. Il paradosso è che nel momento in cui il cinema italiano dal punto di vista del talento e della creatività è in grado di fare dei film che potrebbero mirare ad un successo internazionale, l’industria cinematografica italiana è come collassata. I cosiddetti commmittenti sono ridotti ai minimi termini, ci sono sempre meno soldi e meno produttori, e questi ultimi sono per lo più degli intermediari. Mi chiedo cosa avrebbe fatto oggi, se fosse ancora vivo, un produttore come Cristaldi, che non a caso ha scoperto Tornatore. Adesso stanno emergendo nuove figure che possono rappresentare un anello di congiunzione tra il mondo del cinema e il mondo dell’industria, il che da un punto di vista finanziario è sicuramente positivo. Attraverso il tax shelter e il tax credit si può indubbiamente rafforzare la nostra anemica catena produttiva e dare la possibilità a tanti registi di successo di non mettersi in fila per avere il piccolo finanziamanti e fare film che sono spesso al di sotto delle loro aspettative e dei loro standard. Siamo ancora lontani dall’obiettivo di far tornare il cinema italiano ad essere industria, ma potremmo metterci sulla buona strada se ad esempio gli imprenditori di altri settori, magari quelli del settore della moda che hanno più interessi in comune con lo spettacolo, mostrassero più attenzione al mondo del cinema, approfittando tra l’altro di vantaggi economici, accanto a quelli promozionali, molto interessanti. Mi auguro che questo gap che si è creato tra disponibilità di talenti e mancanza di risorse per farli emergere si vada a colmare e il cinema italiano possa tornare ad essere un cinema internazionale come merita e come oggi è sicuramente in grado di fare.

Tra l’altro le poche risorse disponibili vengono impiegate a produrre quasi esclusivamente commedie?

Io non ho nulla contro le commedie, ed ho amato alla follia alcune commedie del passato, ma trent’anni di commedie becere hanno completamente rovinato il cinema italiano dal punto di vista della sua appetibilità e della sua esportabilità a livello internazionale. Siamo passati da Bertolucci, Fellini, Scola, Monicelli, a venti trent’anni di commedie scollacciate che sono diventate anche una specie di modello espressivo anche dal punto di vista del linguaggio. Tra cento di queste commedie ce ne sono alcune fatte con grande professionalità ma nel momento in cui questo sembra essere diventato l’unico genere possibile in Italia è inevitabile che la qualità e soprattutto la novità, si sia perduta.

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