Pupi Avati: «La Rai programmi cultura per il Paese, il momento è ora» | Giornale dello Spettacolo
Top

Pupi Avati: «La Rai programmi cultura per il Paese, il momento è ora»

Con il tempo sospeso dal Covid19 il regista esorta la tv pubblica a svegliarsi e «a non sottostare al ricatto dell’Auditel. Lì ormai contano solo i numeri, non la qualità. E basta con gli opinionisti»

Pupi Avati: «La Rai programmi cultura per il Paese, il momento è ora»
Preroll

admin Modifica articolo

28 Marzo 2020 - 17.54


ATF

«Mi chiedo perché in questo tempo sospeso fra il reale e l’irreale, come in assenza di gravità, i media e soprattutto la televisione e soprattutto la Rai, in un momento in cui il Dio Mercato al quale dobbiamo la generale acquiescenza all’Auditel, non approfitti di questa tregua sabbatica di settimane, di mesi, per sconvolgere totalmente i suoi palinsesti dando al paese l’opportunità di crescere culturalmente». Lo scrive Pupi Avati, in una lettera totalmente condivisibile, pubblicata dal Corriere della Sera .
Il regista esorta la tv pubblica a scuotersi da un torpore culturale, a programmare «finalmente i grandi film, i grandi concerti di musica classica, di jazz, di pop, i documentari sulla vita e le opere dei grandi pittori, dei grandi scultori, dei grandi architetti, la lettura dei testi dei grandi scrittori, la prosa, la poesia, la danza». Canali come Rai5 o RaiStoria, occorre riconoscerlo, trasmettono molto materiale stimolante. I dirigenti delle tre reti principali dovrebbero prestare ascolto all’autore di tanti film indimenticabili, dalla Casa delle finestre che ridono al Regalo di Natale tanto per ricordarne soltanto un paio.
Avati, lei sostiene che la televisione può sottrarsi al dominio dell’Auditel. Perché?
L’Auditel ha responsabilità enormi nei riguardi della mortificazione della qualità, del prodotto. È evidente. Da quando non si rileva più l’indice di gradimento dei programmi le tv si sono ridotte al solo Auditel, alla rilevazione quantitativa, numerica, allora la qualità non è stata più un problema ed è precipitata. Oggi “bello” per i dirigenti vuol dire “tanto ascolto”. In base a questa equazione chi azzecca una proposta la porta avanti all’infinito per anni e anni, si fanno le stesse trasmissioni nello stesso formato con una pigrizia intellettuale della tv e anche dei committenti.
Contano solo gli indici di ascolto, a viale Mazzini?
C’è una sorta di complicità negativa. Quando qualcuno di noi va a proporre qualcosa entriamo nelle stesse stanze di prima ma dietro le scrivanie ci sono persone diverse e per le quali l’esclusivo problema quotidiano è quello degli ascolti. Tutte le mattine ricevono una pagella nella quale è emessa una sentenza: promossi o bocciati. È una condizione che non permette ambizioni. Nessuno parla più di bellezza. Non solo in tv però: anche i produttori non dicono più “cerchiamo di fare un bel film”, dicono “cerchiamo di fare qualche soldo e portare a casa la pelle”.
Questo periodo particolare del Coronavirus a suo giudizio può essere un’occasione?
Sì. È un tempo sospeso e gli inserzionisti pubblicitari non hanno alcun interesse all’Auditel. Fatti salvi i prodotti alimentari e farmaceutici qualcuno va a comprare un divano o un aspirapolvere, in questi giorni? Non esiste. Siamo come in un giorno di vacanza, siamo liberi dalla tagliola dell’Auditel, da quel ricatto, perciò potremmo veramente usare questo tempo per un arricchimento culturale del Paese, per qualcosa che sia totalmente alternativo in modo rivoluzionario.
È un’idea eccellente.
È una provocazione che temo non verrà raccolta. Si risolverà in una grande attenzione alla mia lettera, sto ricevendo moltissime testimonianze.
Risponde alle esigenze di tanti cittadini.
Io non sono un politico, non ho nessun incarico, non promuovo miei film o altro: chiedo solo di mandare in onda cose del passato, non mie. Anche lei, che mi intervista, è un azionista della Rai perché paga il canone per cui può pretendere una programmazione diversa.
Nella sua lettera prende di mira, a ragione, «lo sterile cicaleccio dei salotti frequentati da vip o dai soliti opinionisti».
Basta con i talk show. Non si può passare con la stessa supponenza e disinvoltura dal parlare di Salvini una sera e del Coronavirus l’altra. Ci vuole un minimo senso del pudore. Vediamo una compagnia di giro di presenzialisti: tutte le sere sempre gli stessi spiegano cosa dovremmo fare senza venire mai messi in gioco. Quella dei presenzialisti è la categoria più parassitaria del paese. Non abbiamo bisogno di tante opinioni. Sarebbe più efficace basarsi sulle competenze: ognuno parli di quello che sa. I politici abbiano una competenza per dire qualcosa. Se non altro questo virus ha disvelato quanto il re sia nudo e il nostro limite totale. Quando questa angoscia finirà, con tanti morti, sofferenza e preoccupazioni (anche io ho perso un amico) credo che torneranno a emergere i valori e comprenderemo quanto tempo abbiamo perso in cose inutili.

Native

Articoli correlati