La finale di X Factor ha segnato, ove mai ce ne fosse ancora bisogno, una ennesima conferma dell’improbabile lotta, nel settore dello trasmissioni di intrattenimento leggero, tra il servizio pubblico e le televisioni commerciali, che vincono per distacco.
Non si tratta della ormai trita querelle tra televisione di qualità al confronto con quella meramente di svago. Il problema è che il diverso modello di televisione di intrattenimento mostra le evidenti carenze di progettualità della Rai che naviga a vista, arroccata sul successo di pochi e collaudati programmi e non osa attaccare la concorrenza sul piano dell’immagine.
Cerco di spiegarmi. La serata finale di X Factor, targata Sky, al di là di cosa si possa pensare dei talent e della riproposizione del confronto gladiatorio, quello di ”alla fine non ne resterà che uno”, che rischia di schiantare caratteri teneri come quelli dei quasi debuttanti, ha fatto capire come non ci sia paragone che regga. Evidenti al limite dell’innegabilità le chiavi del successo: una location che meglio non si può pensare (il Forum di Assago); un pubblico fatto arrivare assatanato all’epilogo; scenografie capaci di ipnotizzare il pubblico (al di là della pacchianeria di talune scelte, ma ci sta anche questo); il profilo degli ospiti (Ed Sheeran e Tiziano Ferro); un meccanismo che incolla sino all’ultima battuta chi vi assiste anche per lo spietato criterio di selezione. E ci fermiano qui, perché si potrebbe andare avanti per parecchio tempo (vogliamo parlare della freschezza di Alessandro Cattelan rispetto ai sorridenti conduttori di casa Rai?)
Bene inteso, X Factor è un format (partorito da quel genio di Simon Cowell), come lo sono quelli proposti dalla Rai, ma quanto differenza, anche nella scelta dei personaggi di contorno, che, con il massimo rispetto per tutti, per quanto riguarda quelli delle trasmissioni del servizio pubblico non pungono più di tanto, danno l’impressione di cercare più la polemica che contribuire a migliorare le prestazioni. Per non parlare di alcuni concorrenti, che sembrano essere scelti solo nella certezza di un ritorno di audience per effetto della curiosità che determinano.
I talent (o comunque le trasmissioni che prevedono delle competizioni) sono sempre delle miscele che possono esplodere per un nonnulla, ma, se vengono dal servizio pubblico, ci si aspetta che diano qualcosa in più, che propongano e non solo diano a personaggi in caduta pubblica in termini di immagine e che chiedono un’occasione per riprendere a sperare. Ballare impacciati o mascherarsi per imitare qualcuno non è forse il massimo della vita, ma per qualcuno è la seconda o ultima chanche e questo merita rispetto.
Ma siamo sicuri che questo sia quello che dovrebbe fare il servizio pubblico? Ci si dirà che le trasmissioni culturali non attirano sponsor e quindi non consentono di sperimentare o di ritirare fuori vecchi programmi, magari attualizzandoli. Qualvolta però questao appare come la classica foglia di fico, perché il gettito del canone c’è e quindi occorrerebbe rimodulare gli impegni finanziari per trovare nuove proposte per il pubblico, che non è solo quello che segue improbabili ballerini, cantanti sul viale del tramonto, concorrenti immeritevoli di andare in televisioni a mostrare, nel quiz di turno, la loro ignoranza e, con essa, la politica di selezione della Rai.
X Factor conferma: impossibile per la Rai competere sui programmi di intrattenimento
Il servizio pubblico non riesce a proporre programmi innovativi, puntando sempre su trasmissioni che ormai mostrano segnali di usura
Diego Minuti Modifica articolo
16 Dicembre 2017 - 12.59
ATF
Native
Articoli correlati