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Il mondo a 45 giri

Perché queste quattro ore in prima serata, su una storia che fa parte del nostro passato, avevano bisogno di essere salvate dal Barbarossa?

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21 Dicembre 2015 - 15.21


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La Rai salvata dal Barbarossa

Non si tratta naturalmente del terribile condottiero dell’anno Mille, ma del meno terribile e molto più simpatico Luca Barbarossa, cantautore, e ora conduttore (e non condottiero), il 17 e 18 dicembre su RaiTre, di “Il mondo a 45 giri”, la storia della RCA, casa editrice e discografica, ma soprattutto incubatrice della musica italiana dagli anni 60 fino a fine secolo.

Perché queste quattro ore in prima serata, su una storia che fa parte del nostro passato, avevano bisogno di essere salvate dal Barbarossa?
La regia. Tutta colpa della regia. Banale, ripetitiva, vecchia, senza un guizzo di fantasia; eppure l’argomento era vivacissimo e la possibilità di sfruttare le doti dei personaggi stuzzicante.
Lo si è visto quando, per esempio, Rita Pavone si è impadronita della scena e l’ha tenuta benissimo, facendo rinascere dal rospo di oggi la geniale ragazzina terribile di ieri.

E con Shel Shapiro, vecchio professionista della scuola inglese, con dalla sua anche il vantaggio di apparire (come è) un garbato anziano signore con i capelli lunghi, e non un alieno gonfiato dal botox.
Lo stesso con Edoardo Vianello, capelli un po’ meno abbondanti di Shel, ma voce tagliente e intonazione impeccabile, arguto dispensatore di aneddoti d’epoca. Particolare quello raccontato insieme a Maurizio Catalano, fondatore dei Flippers, storico gruppo pop con cui Vianello aveva inciso “I Watussi”. Si narra che fra i due era nata una scommessa. I Flippers, scettici sul successo del paraponziponzipò sugli altissimi negri, avevano preteso da Vianello la promessa di versare una lira per ogni disco venduto, se questo fosse rimasto sotto il milione di copie (era l’epoca beata in cui le vendite dei quarantacinque giri si contavano a milioni), ma si impegnavano a fare il contrario in caso il milione fosse superato. Così fu, e l’indomani della chiusura dei conti, i cinque del complesso si presentarono sul campo di calcio dietro gli stabilimenti della RCA, dove, davanti a fonici e artisti avvenne la solenne consegna a Edoardo di una valigia piena di banconote.

Variegata la casistica degli ospiti e del loro look.
La donna-gatto mutante arrivata da un altro pianeta: Patti Pravo.
Una vecchia signora coi capelli tinti: Cocciante.
Uno antipaticissimo. Qui non c’è bisogno di fare nomi, basta la divisa da portuale malvestito e nello stesso tempo l’aria supponente. Due scelte che certo non donano a un signore di ottant’anni (peraltro autore di canzoni magnifiche). Indovinato?

La macchietta: uno con un accento inglese talmente accentuato (ops!) da sembrare una caricatura. A questo punto abbiamo particolarmente apprezzato la garbata presa per i fondelli di Mal dei Primitives fatta da Luca.
Inevitabile la commemorazione e la commozione cimiteriale, trattandosi di una storia cominciata quasi sessant’anni fa. Lo sapevamo, eppure ci ha addolorato risalutare, purtroppo poco aiutati dagli scarsi filmati d’epoca, gli amici che ci hanno preceduto (queste rievocazioni ci ripresentano in continuazione la Nera Signora, lì in agguato, che sta aspettando anche noi). E sono tanti: Dalla, Endrigo, Fontana, Bardotti, Greco, Micocci, l’ingegnere fonico Patrignani.a proposito, perché per i fonici, che, come sanno tutti quelli che hanno messo piede in sala di registrazione, sono quasi più importanti degli artisti, neanche una parola in quattro ore?
A questo punto è nostro obbligo morale manifestare i seguenti ulteriori appunti alla regia.
Le luci: neanche un’idea, sarebbe da dire un lampo di inventiva. Sempre uguali.

I movimenti delle telecamere: nella più gloriosa tradizione di quando ce n’era una, al massimo due in studio. Limitati, prevedibili e banali.
Il montaggio delle immagini: mai un guizzo o una trovata. In sequenza, come la lista della spesa.
La ripresa sonora (e qui, c’è proprio da stupirci, dato che ci troviamo nella sala di un famoso studio di registrazione professionale) piatta; nessuna nozione che esistono i piani per distanziare strumento da strumento, e tutti dalla voce.
A questo punto però è opportuna una smentita. Nessuna trovata, abbiamo detto. Invece una trovata c’è, e per chi nel pubblico televisivo rischia di non capirla, ripetuta in abbondanza.
Ogni volta che la telecamera inquadra il gruppo dal vivo, i cantanti dal vivo, qualche movimento dal vivo, ecco che in primissimo piano, a riempire lo schermo appare e ritorna, zoom avanti, zoom indietro, a destra, a sinistra, una scatola bianca illuminata con la scritta “ON AIR”. Abbiamo capito che siamo dal vivo. Niente. Ripetizione identica pochi secondi dopo. All’infinito.

Perché il Barbarossa salvatore? Perché Luca, benedetto dalla fortuna che gli ha dato una sottile ironia, un costante understatement, la capacità di intervenire con garbo per neutralizzare i troppo pedanti, o i troppo narcisi, un bell’aspetto, una sommessa parlata, qualche volta anche romanesca, ma soprattutto una leggerezza in tutto quello che fa e dice, ha saggiamente utilizzato queste doti naturali (per altro, e si vede, sviluppate con studio intelligente e pratica costante) a nostro vantaggio. Anzi, diremmo addirittura in nostra difesa.
Beninteso, dopo avere allentato il freno a mano rappresentato da quella bionda stagionata che lo affianca all’inizio e negli stacchi girati a bordo di un una bella vecchia automobile dell’epoca.
Parliamo di Gloria Guida, una presenza davvero superflua.
Per metterci al livello delle trovate di regia, potremmo osare la battuta: perché lei in macchina con Luca? Perché si chiama Guida. Capito? L’auto, il volante, Guida.

Pura scemenza, la nostra, o vera fantascienza?

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