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Il cimitero di Barbara D'Urso

Elena, Loris, Yara e tutti gli altri, insieme alle loro storie, sono in tv su tutti i canali. Ma cosa potrebbe pensare una bambina di cinque anni? (Andrea Falla)

Il cimitero di Barbara D'Urso
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18 Dicembre 2014 - 22.44


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di Andrea Falla

Cristina (nome di fantasia) è una bambina di 5 anni. Come tutte le sue coetanee la mattina va a scuola e il pomeriggio lo passa tra casa dei genitori e casa dei nonni, facendo i compiti, giocando o guardando la televisione. Durante il pomeriggio la tv offre vari spunti, dai cartoni animati alle serie tv, fino ai programmi d’intrattenimento e attualità. A volte per interesse o spesso per compagnia, la tv è sintonizzata su quest’ultimo genere di show, tanto che se chiedete alla piccola Cristina chi siano Elena Ceste, Yara Gambirasio, Sarah Scazzi o il piccolo Loris, lei saprà dirvi tutto: chi, dove, come e quando. Già questo elemento potrebbe portare ad un acceso dibattito, molto attuale, sulla televisione del dolore che ormai propone ad ogni ora e su ogni canale, programmi che analizzano, ipotizzano e chiacchierano dei delitti del Belpaese. A finire sotto accusa è stata Barbara D’Urso, icona di un genere televisivo che annovera un ‘simile’ o più in ogni emittente, in cui la conduttrice Mediaset è soltanto l’esempio più in vista di un fenomeno ben più vasto. Quindi sia per la visibilità che ha, che per qualche episodio ‘discutibile’, (ad esempio il finto incontro fortuito con il cacciatore Orazio Fidone a Pomeriggio Cinque, poi smascherato da [url”Striscia la Notizia”]http://www.video.mediaset.it/video/striscialanotizia/servizio/502697/incontro-fortunato.html[/url] ) è su di lei che i colleghi giornalisti hanno puntato il dito.

Ma se chiedete a Cristina perché in tv ci siano così tante tragedie, lei ha una risposta anche per questo: “Semplice, Barbara D’Urso ha un cimitero e parla dei suoi morti”. Una risposta che ti spiazza. Perché se una bimba così piccola giunge a questa conclusione vuol dire che c’è qualcosa che non va. Così una conduttrice televisiva diventa la custode di questi loculi mediatici, in cui l’unica cosa che sembra avere importanza è il parlare. Parole e parole, indagini fatte da una poltrona, supposizioni e ipotesi, testimoni o presunti tali, che servono a riempire ore di programmi che fanno intrattenimento su queste tragedie. Cronaca nera si chiama, un genere giornalistico che ha da sempre affascinato il lettore, tanto che nonostante le critiche e le polemiche, sono proprio questi show televisivi ad essere i più visti. Ma attenzione: il problema non è il fatto che se ne parli o che ci siano degli approfondimenti in televisione, il problema sta nella quantità eccessiva, spalmata su tutta la giornata, e nella qualità, spesso dimenticata per far posto allo ‘spettacolo’. Lo spettacolo che deve sempre continuare giusto? Vediamo fino a che punto.

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