Domenica, maledetta domenica, quando si è definito l’accordo per l’acquisto di Rcs Libri da parte della Mondadori. “Mondazzoli” è il nomignolo appioppato al nuovo meta-gruppo, come è stato per “Raiset”.
Anche nell’editoria libraria si è determinata una concentrazione abnorme (quasi il 40% del settore), pericolosa in sé e altrettanto rischiosa per gli effetti collaterali che comporterà. Non stiamo parlando di un generico ambito merceologico, bensì di una parte essenziale del sistema nervoso della società, di quella che viene chiamata identità della nazione. Si legge poco, è vero, ma qui il discorso dovrebbe toccare la scuola e l’istruzione, come ha lucidamente detto su il manifesto di ieri Gian Carlo Ferretti. Tuttavia, riducendo la varietà dei soggetti, l’offerta inevitabilmente si impoverisce.
Autocensure, se non censure. Omologazione –magari soft- in luogo di una effettiva competizione nei punti alti del mercato, cui fa da contraltare l’universo degli editori medi e piccoli, vera linfa della ricerca e dei saperi. Logorati e impoveriti, non vinti. La logica del trust deprime tutto e accentua la tendenza ad avere una serie A di titoli trascinati dal marketing al successo (tutto è relativo, ovviamente) e una serie B rivolta a nicchie particolari e specialistiche. Due binari a velocità assai differenziate, come annotano Alberto Cadioli e Giuliano Vigini (2012). Dalla semestrale della Mondadori si evincono le quote di mercato: 24,4% la casa di Segrate, 12,2% Rcs, 10,2% GeMs, 6,7% Giunti, 4,4% Feltrinelli. Il restante 40% al resto del mondo. Nel complesso, secondo i dati 2014 dell’Associazione italiana degli editori, meno di 3 miliardi di euro. Siamo nell’ordine di grandezza della raccolta pubblicitaria televisiva, in calo l’una e in calo l’altra. Insomma, la strisciata di colore mette insieme sì un’agguerrita potenza di fuoco: Bompiani, Rizzoli, Fabbri, Sonzogno, Marsilio (senza, però, Adelphi riacquisita da Roberto Calasso); Mondadori, Piemme, Sperling&Kupfer, Einaudi. Ma con quale vera intenzione? L’esborso di 127,5 milioni di euro a carico di una costellazione che non se la passa benissimo –Fininvest- che senso ha? In un comparto in decrescita, neanche troppo serena. Forse non è azzardato pensare che siamo di fronte solo al primo atto.
Gli altri seguiranno e magari, a ristrutturazione avvenuta, arriverà qualche ulteriore Cavaliere: dall’estero. Il capitale ha la sua sintassi, che difficilmente permette eccezioni. Si tratta, dunque, di una concentrazione nell’epoca della Grande Crisi della comunicazione analogica, che ha bisogno di unire le forze per sopravvivere. Marina Berlusconi ha garantito che la società crede nell’Italia. Vedere per credere. Bene ha fatto la Cgil a mettere le mani avanti, perché i sogni di grandezza spesso hanno come prima vittima chi lavora.
E neanche è detto che il matrimonio sarà trascritto in modo formale. Malgrado il prezzo sia stato scontato di 7,5 ml in previsione di una possibile multa comminata dall’Autorità antitrust (l’Agcom darà segni di esistenza?), la concentrazione potrebbe essere rivista. Da mesi si è alzato un coro di protesta, con raccolte di firme e distinguo. L’ultima voce della serie, ancorché flebile, quella del ministro Franceschini. Se si vuole, l’occasione per reintrodurre un po’ di antitrust c’è: la discussione sull’editoria presso la commissione cultura della Camera dei deputati. Si ripristini ciò che già conteneva la legge 249 del 1997, abrogata da Gasparri. Nessuno superi il 30% di ogni ambito. E’ la dieta mediale