di Eliana Rizzi
Non solo recitare, ma apprendere tutti i mestieri del teatro: dirigere, produrre, programmare, organizzare, montare, custodire e – a fine serata – ripulire. “Fare teatro” nella più totalizzante delle sue possibilità, attraverso il processo di responsabilizzazione che passa per l’autogestione. È il progetto “i Nuovi” portato avanti dalla Fondazione Teatro Della Toscana e che coinvolge, per ora, sedici allievi della scuola “Orazio Costa”. Il primo spettacolo che verrà messo in scena, dall’11 al 22 aprile, sarà “La Mandragola”. A raccontare anima e corpo di questa iniziativa, il coordinatore Pier Paolo Pacini:
La storia del Teatro Niccolini è più che centenaria. Come mai la decisione di iniziare qui il progetto “i Nuovi”?
È il teatro più antico d’Italia, o sicuramente lo è di Firenze. E ci piaceva che fosse il primo gestito totalmente dai giovani. Avendo la possibilità di avere questo spazio come Fondazione Teatro della Toscana e volendo caratterizzarlo ci sembrava che questa fosse l’idea più efficace.
Come confrontereste questa esperienza, opposta e parallela, con quella romana dei ragazzi del Cinema America? Lì è stato più difficile coniugare autogestione e dialogo con le istituzioni.
In realtà è l’impostazione a essere differente: questi sono ragazzi che escono da una scuola, la scuola “Orazio Costa”, e già dalla prossima settimana cominceranno i provini per selezionare borsisti da altre scuole. La borsa di studio è l’altra differenza. Il Teatro Nazionale attraverso questa borsa crea un progetto formativo che prevede che la Fondazione stessa permetta a questi ragazzi di incontrare i maestri Baliani, Imparato, Shammah, Navello e Mauri per iniziare un percorso insieme a loro. Non si tratta solo di dare lavoro, ma anche di promuovere l’idea di formare quello che per noi dovrebbe essere “il nuovo attore”.
È quello che definite l’attore artigiano?
Io sono responsabile e coordinatore di questo progetto e sono stato allievo di Orazio Costa che a sua volta è stato allievo di Copeau, è sua l’idea dell’attore artigiano. L’idea di base è quella di far progredire il teatro a partire dal rapporto giovani e maestri, che poi è la stessa dialettica che intercorre fra mondo classico e contemporaneo. Questa è la nostra ideologia di partenza.
Perché iniziare proprio con “La Mandragola”?
Per il rapporto di Machiavelli con Firenze, innanzitutto. Inoltre perché questo è un testo molto più complesso di quel che appare in realtà: ci viene proposta sempre come una beffa, ma contiene in sé una precisa idea di società, un senso del bene e del male molto moderno. Parlandone con Baliani, questa ci è sembrata la scelta più interessante per un inizio.
D’altronde il manifesto di attore artigiano su cui si fonda questa iniziativa, non è così staccato dall’idea di responsabilizzazione che dovrebbe riguardare non solo gli operatori culturali, ma tutti i cittadini.
L’idea è quella di un teatro etico. Credo in una società etica, quindi in un teatro etico. Un cittadino etico è un attore etico, concetto che non ha a che fare con la morale, ma vola più in alto.
Che rapporto invece con la tecnica del teatro mimico?
I nostri ragazzi, inizialmente un gruppo di sedici, vengono dalla scuola “Orazio Costa” che è basata sul metodo mimico. Il pensiero di Costa è più ricco della sua metodologia ma diciamo che la sua tecnica è alla base di un concetto: quello di creazione libera, di un teatro che abbia volontà e necessità di comunicare con l’attore, la figura centrale di questo progetto. Il teatro mimico restituisce l’idea del teatro che si vuole rappresentare.