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Studiare i cambiamenti climatici con i fossili

Gli esperti della rivista internazionale Nature Geoscience ricostruiscono per la prima volta i livelli atmosferici di CO2 lungo un arco temporale di 80 milioni di anni.

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13 Gennaio 2025 - 18.26 Culture


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La Terra, durante la sua lunga esistenza, ha attraversato diverse condizioni climatiche, alternando ere glaciali a fasi di riscaldamento globale che hanno formato il pianeta e influenzato l’evoluzione degli organismi. Ancor prima della comparsa dei dinosauri, durante il tardo Paleozoico (circa 300 milioni di anni fa) ebbe luogo una delle glaciazioni più estese della storia, terminata con un periodo di riscaldamento, che portò alla scomparsa quasi completa dei ghiacciai e delle calotte polari con importanti conseguenze sulla biodiversità.

Un team internazionale di scienziati, tra cui ricercatori dell’Università Statale di Milano, della Sapienza Università di Roma e dell’Università di St. Andrews, ha studiato la glaciazione del tardo Paleozoico e il suo declino, per comprendere meglio l’attuale emergenza climatica. I risultati, pubblicati su Nature Geoscience, ricostruiscono per la prima volta i livelli di CO2 atmosferica lungo 80 milioni di anni.

Tradizionalmente, l’atmosfera del passato è analizzata tramite piccole bolle d’aria nelle calotte polari, che forniscono dati climatici fino a circa 800 mila anni fa. Tuttavia, la sfida affrontata da questo studio è stata utilizzare i fossili di brachiopodi, invertebrati marini con conchiglie di carbonato di calcio, per esaminare un periodo compreso tra 340 e 260 milioni di anni fa. Le analisi hanno rivelato che i livelli di CO2 erano strettamente legati all’evoluzione della glaciazione e alla sua fine: bassi livelli di CO2 erano associati alla formazione di calotte polari, mentre l’aumento della CO2, dovuto a intensa attività vulcanica, coincideva con la riduzione globale dei ghiacciai e l’innalzamento della temperatura oceanica fino a 4 gradi. Oggi, un fenomeno simile si sta verificando, con l’aumento di CO2 e di gas metano che provocano il riscaldamento atmosferico e la riduzione dei ghiacciai.

Lucia Angiolini, docente del Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio dell’Università degli Studi di Milano, sottolinea come questi fossili rappresentino una preziosa fonte di informazioni: “Studiare le caratteristiche geochimiche dei loro resti ci permette di ricostruire il clima e gli ambienti in cui questi organismi sono vissuti, anche nel tempo profondo, e di confrontarli con i cambiamenti attuali.”

“È noto come le conchiglie dei brachiopodi siano legate alla composizione dell’acqua marina e alla variazione di molteplici parametri tra cui la temperatura e l’acidità (pH), che dipendono dalla concentrazione di CO2 atmosferica”, aggiunge Claudio Garbelli, docente della Sapienza Università di Roma.

Conclude Hana Jurikova, ricercatrice dell’Università di St. Andrews in Scozia e prima autrice dello studio: “Misurando il boro e lo stronzio contenuti nelle conchiglie fossili e utilizzando sofisticati modelli matematici, siamo stati in grado di ricostruire i livelli di CO2 presente in atmosfera tra 340 e 260 milioni di anni fa e compararlo con l’attuale emergenza climatica.”

Studi di questo tipo sono essenziali per comprendere le dinamiche dei cambiamenti climatici e per sviluppare modelli predittivi sui fenomeni in atto. I fossili, infatti, costituiscono un archivio fondamentale di informazioni utili per anticipare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, sia presente che futura.

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