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L'università resti luogo del libero confronto

Il significato profondo della "Universitas studiorum". La realtà universitaria oggi alle prese con mille problemi. Ma sono ormai tanti i casi che rimettono in discussione il dibattito come forma di dialogo e dell’espressione libera del proprio pensiero.

L'università resti luogo del libero confronto
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6 Aprile 2024 - 17.15 Culture


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di Margherita Degani

Sebbene l’idea che la cura e la trasmissione del sapere richiedano uomini e luoghi dedicati a questa finalità sia presente fin dall’antichità, l’Università è una delle istituzioni più importanti della società contemporanea. 

L’etimologia della parola indica la derivazione latina da universitas, ovvero “complesso di tutte le cose”, che a sua volta si rifà all’aggettivo universus, tutto intero”Da questo possiamo già evincere che i primi due pilastri su cui si basa sono l’universalità – degli studi, delle materie affrontate, delle sfide – e l’autonomia. Centro propulsore di sapere, ricerca, confronto e produzione di nuove conoscenze, è qualcosa di fondamentale per lo sviluppo tecnico e culturale della civiltà umana.

Dovremmo domandarci cosa ne è, oggi, di questo polo di idee e di questa fabbrica di discussioni. E’ ancora possibile pensare all’Università come un luogo in cui coltivare e far accrescere il proprio pensiero critico? E gli atenei telematici riusciranno a non considerare il sapere come merce? Sarà possibile trovare i fondi adeguati per la ricerca e per impedire la fuga dei cervelli? Può essere considerata un’istituzione capace di celebrare il confronto e lo scambio di idee per aprire nuove, significative, prospettive?

L’università che conosciamo, pubblica e laica, nasce anche dal desiderio d’indipendenza e di libertà che, per certi versi, non sembravano realizzabili in seno alle antiche scuole ecclesiastiche. Ebbene, i ragazzi e i professori – o chiunque desideri cimentarsi in un percorso di formazione che dovrebbe essere il più elevato e completo – vedono ancora nelle sue mura un segno di protezione per un libero confronto? Alcuni fatti lontani e vicini negli anni, sembrano scuotere un po’ questi principi. Ed è solo su questi che concentro un articolo che altrimenti avrebbe bisogno di ben altri spazi e più approfondite valutazioni se volessi rispondere ai tanti quesiti che oggi l’Università ci pone. 

E’ il 2008 quando a Benedetto XVI, formalmente invitato dal Rettore ad inaugurare il nuovo anno accademico della Sapienza, venne costretto a rinunciare dopo un’ondata di polemiche. Il primo a intervenire contro questa scelta fu Marcello Cini, seguito da una lettera firmata da 67 docenti della facoltà di Fisica. E’ evidente che fu un’occasione mancata di confronto non tanto e non solo con un Papa ma con una mente che si è dedicata anche ad un notevole lavoro intellettuale. Oscar Giannino, sotto le urla di “buffone, padrone, fascista, distruttore dell’Università”, non potè accedere all’Università statale di Milano, all’interno della quale avrebbe dovuto partecipare a un convegno sull’economia e l’Euro. Era il dicembre 2011. 

Nel febbraio 2016 divennero famosi gli episodi di intolleranza nei confronti di Angelo Panebianco, professore all’università di Bologna. Un gruppo di studenti, infatti, iniziò ad interrompere la lezioni con domande provocatorie e rumori, fino ad esplodere in accuse e strilli direttamente indirizzati al docente. La causa scaturiva da alcuni articoli pubblicati dallo stesso storico e politologo, in merito alle guerre di Siria e Libia. 

Un incontro pubblico, che si sarebbe dovuto tenere a Padova nel marzo 2018, per ricordare Norma Cossetto – studentessa dell’ateneo rapita, stuprata e uccisa dai miliziani titini nel 1943, durante i primi episodi di pulizia etnica della Resistenza Titina jugoslava in Istria e Dalmazia – venne boicottato. La prima a reagire fu l’associazione studentesca Asu, poi seguita da alcuni centri sociali; a nulla valsero le specificazioni e le precisazioni di organizzatori e giornalisti coinvolti.

Veniamo ai fatti più vicini. La Luiss, celebre università privata di Roma, ha recentemente deciso di non rinnovare il contratto al docente Marco Gervasoni, insegnante di Storia comparata dei sistemi politici. Il motivo sarebbe legato alle sue personali idee e posizioni (quali?) non troppo compatibili con i principi di cui l’istituzione in questione si fa portavoce. Un altro ateneo, quello di Torino, ha appena stabilito di non voler più partecipare al bando per la cooperazione scientifica con Israele con relative proteste della comunità ebraica, di molti Rettori e rappresentanti del governo, dal momento che atti antisemiti stiano crescendo in tutto l’Occidente. 

Non va dimenticata neppure la protesta degli studenti all’università Federico II di Napoli, in occasione del dibattito sul Ruolo della cultura in un Mediterraneo conteso. Il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, e il Rettore Matteo Lorito sono stati costretti ad annullare la conferenza, vista la tensione createsi nella facoltà di Ingegneria, dove si sono presentati una quarantina di giovani con bandiere palestinesi e dopo qualche disordine sono riusciti ad entrare in facoltà, dirigendosi verso l’aula magna per contestare il giornalista. Fatto ancora più grave, i giovani avrebbero affisso uno striscione con la scritta «Fuori i sionisti dalle università». 

Probabilmente questi tristi esempi, che sicuramente rappresentano solo una piccola parte di episodi similmente discutibili, non si accordano con la natura di un luogo che nasce come tempio del pensiero critico, della democrazia, della celebrazione dei diritti e della libertà. Come simbolo d’impegno civile, dedizione al sapere e anche baluardo di avanguardia, l’università non dovrebbe alimentare fenomeni che tendono in direzioni diametralmente opposte al dialogo e al confronto. E, soprattutto, non dovrebbe sacrificarsi al conformismo più assoluto, alimentando la già evidente apatia critica dei più giovani; la passività ed indolenza, spesso troppo persistenti nelle loro coscienze, andrebbe scossa proprio attraverso confronti propositivi, dibattiti ed opinioni contrastanti, perfino scomode. Tra le mura insonorizzate di un’università che si ripiega sempre più in sé stessa, ci si dovrebbe impegnare a far rifiorire la critica, non l’intolleranza crescente di cui siamo testimoni. 

La libertà di manifestazione del proprio pensiero, del resto, è sancita per la prima volta dall’articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, per essere poi ribadita dell’articolo 21 della Costituzione Italiana, uno dei più importanti del nostro Stato. L’esternazione dello stesso rappresenta, infatti, una delle maggiori garanzie di un ordinamento che voglia definirsi democratico e, non a caso, è una delle prime libertà soggette a restrizioni dai regimi autocratici o totalitari. Sarebbe pertanto utile ricordarlo e celebrarlo in ogni modo, memori del peso e del valore di questa libertà, la sola che possa davvero permettere ad un sistema di alimentarsi e crescere in maniera sana.

Pasolini, forse con lungimiranza, già negli anni 70 scriveva che “Il mondo della cultura – in cui io vivo per una vocazione letteraria, che si rivela ogni giorno più estranea a tale società e a tale mondo – è il luogo deputato della stupidità, della viltà e della meschinità (…). Sono assolutamente estraneo al momento della cultura attuale. […] Diciamolo pure, sono rimasto isolato, a ingiallire con me stesso e la mia ripugnanza a parlare sia di impegno che di disimpegno”. 

Smentiamo questa profezia, siamo ancora in tempo.

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