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Il tempo e i riti della raccolta delle olive

Canzoni e poesie di una tradizione secolare del mediterraneo: il parere dell’antropologo Fabio Mugnaini

Il tempo e i riti della raccolta delle olive
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3 Novembre 2020 - 18.59 Culture


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di Manuela Ballo

Questa è la stagione della raccolta delle olive  che viene fatta con forme, tempi e pratiche diverse da regione a regione: è una pratica che segna l’intera  nostra civiltà, dall’ antichità sino ad oggi, e che continua ad essere al centro della produzione, del consumo del mediterraneo e, quindi, della vita di tutti i giorni. 
Le centinaia di feste e sagre che contraddistinguono la stagione della raccolta, quest’anno non si terranno. Sappiamo il perché.  A rimetterci è la vita sociale di molti paesi e delle nostre regioni, che a questo frutto sono legate sia da un punto di vista della ritualità e della qualità, che dal punto di vista dell’economia.

Ognuno consumerà la bruschetta con l’olio nuovo all’ interno delle proprie case e si aprirà l’annuale disputa su quale sia l’olio più buono in Italia: chi opterà per quello ligure, chi per quello umbro chi per quello toscano o quello siciliano, e via sciorinando di ognuno pregi e difetti. Solo su una cosa sono quasi tutti d’ accordo, l’olio nuovo costa, e costa caro.

Ma da cosa viene tanto attaccamento, in tutta l’area mediterranea, a questa pianta? Esistono molti miti e molte scritture sull’ antica presenza dell’ulivo nelle nostre sponde. La definizione originale, e forse più azzeccata, è quella che ci ha offerto il grande storico del Medioevo, Fernand Braudel: “Il Mediterraneo si estende dal primo ulivo che si raggiunge arrivando dal Nord ai primi palmeti che si levano in prossimità del deserto”.

Olivo e vite sono i pilastri sui quali si è alimentata la civiltà mediterranea: già Erodoto scriveva che non potevano considerarsi mediterranee quelle terre in cui non venivano coltivati il fico, la vite e soprattutto l’ulivo, e secondo Tucidide, i popoli del mediterraneo uscirono dalle barbarie quando impararono a coltivare l’ulivo e la vite.

Si raccolgono olive e si canta. Nella tradizione canora esistono brani ben noti come “Cade l’uliva e non cade la foglia”, resa celebre da Caterina Bueno, in origine canto tradizionale della pianura di Lucca. Oppure Addije Addije (Addio Addio), un canto che le raccoglitrici di olive intonano tutt’ ora in Abruzzo. A Ferrandina, in provincia di Matera, per esempio, durante la raccolta gli uomini sugli alberi si alternavano in botte e risposte canore con le donne che in genere le raccoglievano dal basso. Inoltre, tra i testimoni si ha anche il canto in distici con versi endecasillabi, rime ed assonanze che puntavano sullo sfottò di uomini e donne e che veniva intonato durante la raccolta delle olive a Pianella in Abruzzo.

Ancor più rilevante come testimonianza della presenza di questa pianta nell’ intero bacino mediterraneo è la canzone che un grande poeta come Garcia Lorca dedica proprio alle donne e alla raccolta delle olive, “Las morillas de Jaén” : “ A Jaen:/ Axa, Fatima e Marièn,/ tre leggiadre moricas /che andavano a cogliere le olive/ e le trovarono già raccolte,/ A Jaen, /Axa, Fatima e Marien/ le trovarono raccolte/ e tornarono smagrite /con le guance scolorite”.

 Quali sono le tracce, insieme a queste musicali, che rimangono nelle pratiche rituali legate alla raccolta e al consumo del prezioso verde alimento? Uno spunto di riflessione, su queste pratiche, lo offre Fabio Mugnaini, antropologo dell’Università di Siena: “La raccolta delle olive è sicuramente compatibile con il canto e non richiede, a differenza di altri lavori, sforzi eccessivi al punto tale da sottrarre la voce al canto. Al di là del canto, i riti e i modi legati alla raccolta cambiavano da regione a regione, da economia a economia: per esempio, nel latifondo, a differenza della mezzadria, il momento della raccolta unisce e crea collaborazione, si creano difatti le squadre, ed è dunque possibile che si siano formati canti specifici riguardanti il momento della raccolta.  È quando le persone condividono le stesse condizioni che si sviluppano i repertori. La situazione, invece, muta profondamente in quelle zone, come la Toscana, dove la forma dominante in agricoltura è la mezzadria e, in questo contesto, a raccogliere le olive non sono più gruppi numerosi di braccianti ma le braccia dei soli nuclei familiari”.

Che l’ulivo e il suo frutto siano diventati rilevanti simboli in tutti i settori della vita civile e anche di quella religiosa, è fuori discussione. Nella religione cattolica continua, ad esempio, la tradizione di dare l’olio degli infermi a chi sta morendo, o l’olio dei catecumeni con il quale si ungono le mani di chi sta per essere ordinato sacerdote, o si pensi al  significato che ha poi assunto nell’ arte la colomba di Picasso con in bocca un ramoscello d’ulivo ad indicare la pace, mentre in politica è diventato uno dei simboli che ha generato uno dei fenomeni più rilevanti del tardo 900 italiano: il movimento dell’ ulivo.  Olio e vino, presenze materiali, che ci riportano, in questi tempi bui, al nostro passato e scaldano il nostro tenebroso presente.

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